Cinema

“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, la futilità della guerra attraverso gli occhi di una recluta. Recensione

È stato distribuito da Netflix Niente di nuovo sul fronte occidentale, adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore tedesco Erich Maria Remarque che ripercorre le brutali esperienze vissute dal giovane Paul Bäumer durante la Prima Guerra Mondiale.

Questo film è il terzo adattamento del romanzo di Remarque, a cui sono preceduti due pellicole dallo stesso nome del 1930 e 1979 (quest’ultimo un film per TV). A differenza degli altri però, la versione disponibile su Netflix è una produzione tedesca; è la prima volta che Niente di nuovo sul fronte occidentale viene raccontato tramite il linguaggio cinematografico dal Paese che diede i natali al suo autore originale.

Il racconto universale della guerra

Il film segue un giovane soldato tedesco dell’Esercito Imperiale, Paul Bäumer, e le terribili esperienze di cui si fa testimone tra il 1917 e il 1918. Come ci si aspetterebbe, non c’è un particolare messaggio di fondo nell’opera se non quello universale della futilità della guerra, un abisso violento che cancella ogni traccia di umanità.

Le volenterose reclute di cui Paul fa parte perdono presto il loro ardore e diventano carne da macello che i generali utilizzano per cercare la vittoria dell’Impero. Giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia, Paul perde i suoi compagni e sé stesso, arrivando a rubare, uccidere o soccorrere – senza successo – un soldato francese che Paul stesso aveva accoltellato pochi secondi prima.

Per cosa si combatte quindi? Se il protagonista si rivolge a quell’uomo morente come camarade, compagno, allora chi è il vero nemico di Paul? La Prima Guerra Mondiale diventa simbolo universale dell’inutilità di tutti i conflitti, del vuoto odio fra popoli che serve solo a chi ne muove i fili.

Visivamente crudo e spietato

Niente di nuovo sul fronte occidentale non si risparmia sul comparto tecnico. Gli orrori del fronte sono mostrati senza alcuna timidezza, in un conflitto in cui lo sviluppo tecnologico aveva introdotto mezzi di combattimento nuovi e devastanti fra assalti suicidi, bombardamenti al gas, carri armati e lanciafiamme.

La trincea è sicuramente il luogo simbolo della Grande Guerra, e la pellicola ne mostra gli aspetti più crudi. Le lunghe attese fra un assalto e l’altro, a volte di interi mesi, erano forse peggio dei combattimenti stessi per i soldati, costretti a situazioni igieniche e di nutrizione scadenti. Come ci ricordano le didascalie finali, i fronti della guerra si mossero a malapena durante lo scontro: quattro anni di immobilità e paura.

Le immagini sono arricchite da una colonna sonora preziosa, dagli effetti sonori degli scontri alle inquietanti soundtrack, che catapultano lo spettatore nei panni di Paul e di tutti gli altri soldati.

Un ciclo di violenza e testimonianza

L’alone della sopravvivenza alla guerra è uno spettro che persiste per tutto il film. Man mano che i compagni di Paul perdono la vita e che la guerra prosegue, si scende sempre più in basso nella voragine umana fino a che Paul, durante l’ultima marcia, non è altro che un involucro vuoto e senza volontà.

Il suo desiderio non è di sopravvivere per poter tornare alla vita, ma di sopravvivere per permettere la sopravvivenza dei suoi amici attraverso di lui (e non solo, data la promessa fatta al francese moribondo citato in precedenza).

Simbolo di questa missione è la sciarpa che Franz ottiene da una ragazza francese che seduce e che verrà passata prima a Tjaden, poi a Paul ed infine raccolta da un giovanissimo soldato tedesco sopravvissuto all’ultimo assalto.

La nostra prospettiva di spettatori ci consente di sapere che il ciclo di violenza di cui si fa carico quel giovane anonimo soldato non finirà, non con la Prima Guerra Mondiale, non con la Seconda Guerra Mondiale, né a seguire; allo stesso tempo ci ricorda che la testimonianza di quegli orrori è arrivata fino a noi e non dovrà essere mai dimenticata.

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