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“Il pane perduto” di Edith Bruck: l’intensa testimonianza di una delle autrici finaliste del premio strega 2021

In attesa della serata finale del premio Strega che si terrà l’8 luglio presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Edith Bruck è stata premiata per il suo romanzo Il pane perduto, edito da La nave di Teseo, con il Premio Strega Giovani, giunto alla sua ottava edizione.

Il pane perduto è un racconto intenso, una testimonianza che fa vibrare le corde dell’anima di chi lo legge, una storia dolorosa di chi, dopo il trauma dei campi di concentramento, ha dovuto lottare anche per vivere, dopo averlo fatto per sopravvivere. “Tanto tempo fa c’era una bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti correva scalza nella polvere tiepida”

È con queste parole che l’autrice inizia il suo racconto, una storia iniziata in un passato che esiste ormai solo in dolci, quanto dolorosi ricordi, quando viveva con la sua famiglia in un paesino dell’Ungheria. Edith Bruck è nata nel maggio del 1931 in una famiglia molto povera composta da madre, padre e sei figli. Nella prima parte del suo racconto narra dell’infanzia, del rapporto con i genitori e i fratelli, di una vita iniziata già con l’ombra incombente dell’odio antisemita, culminata nell’arresto nell’aprile del ’44 quando il padre invece sperava che le notizie incoraggianti delle sconfitte tedesche li potessero tenere al sicuro dalla furia nazista.

Il pane perduto è un romanzo che trascina il lettore, come un torrente fa col tronco caduto tra le sue acque, colpendo spesso allo stomaco con la sua forza e provocando lacrime. Edith Bruck segue il flusso dei suoi ricordi, è in grado di descrivere episodi strazianti attraverso dialoghi a volte frammentati, quasi sconnessi, che rispecchiano lo stato d’animo di chi li vive.

La madre, nei cinque minuti di tempo a disposizione per recuperare gli effetti personali durante l’arresto, non fa altro che ripetere “il pane, il pane”, quel pane che aveva impastato la sera prima grazie ad un generoso regalo di farina ricevuto da un’anima gentile. Quel pane perduto sarà motivo di lacrime amare, la scusa per poter riversare il proprio dolore durante il tragitto che porta la famiglia ad Auschwitz.
Questo intenso episodio può essere anche ascoltato in una breve intervista fatta all’autrice da Fabio Fazio il 25 aprile scorso nel programma “Che tempo che fa”,  dove Edith Bruck si racconta ed esprime a parole le emozioni che ha regalato alle pagine.

Il pane perduto diviene così titolo di questo libro, perché il pane è vita, ed era la vita che veniva loro sottratta, proprio come quelle pagnotte candide. Questa però non è solo la storia della sua prigionia nei vari campi in cui sopravvisse insieme alla sorella Judit: da Auschwitz, passando per Dachau, fino ad approdare a Bergen-Belsen. Spesso, nei racconti delle testimonianze dei sopravvissuti, si è soliti fermarsi al durante, a ciò che è successo prima e durante la prigionia. Eppure il dopo sa essere altrettanto doloroso. E, in Il pane perduto, l’autrice narra anche della difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo una volta finito tutto, del muro di incomprensione che si creava con coloro i quali non avevano vissuto i difficili momenti dei campi di concentramento e che parevano non voler ascoltare o voler paragonare le loro sofferenze, senza conoscere quelle di chi ci era stato.

Il potere del romanzo scritto da Edith Bruck risiede nello stile della narrazione. L’autrice riesce a imprimere sulla pagina emozioni forti con un linguaggio all’apparenza semplice, ma che in realtà racchiude una capacità narrativa unica.
La descrizione degli eventi che hanno portato l’autrice novantenne ad approdare in Italia e a sceglierla come nuova patria e lingua per i suoi romanzi, sono il resoconto di una donna che ha conservato la forza nonostante abbiano tentato di demolirgliela.

Le sue emozioni si percepiscono prevalentemente nei dialoghi, nelle parole pronunciate, in quei “no, no e no” ad accettare chi si voleva imporre con la violenza o con le grida, toni di voce che non ha mai più accettato di udire e di sopportare, fino a culminare nell’intensa lettera a Dio, una lettera che avrebbe voluto scrivergli all’età di nove anni e che ha visto la luce grazie a Il pane perduto, di cui consiglio caldamente la lettura.
E così la piccola Edith che “parlava con la sua bambola, diceva al salice di non piangere, a cui piaceva tutto ciò che sbucava dal suolo, anche l’odore della terra” e la cui sensibilità veniva scambiata per debolezza da parte della madre, ha mostrato invece una forza e un coraggio immensi che traspaiono in ogni pagina di questo meraviglioso libro.

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