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Parco Archeologico di Paestum e Velia: ripartire con un viaggio nel tempo, alla scoperta di Poseidonia

Visitare il Parco Archeologico di Paestum e Velia, patrimonio mondiale Unesco dal 1998, significa fare un vero e proprio viaggio nel tempo. Partendo dalla preistoria infatti, era a cui risalgono i primi insediamenti umani, si passa agli antichi greci che tra il VI e il V secolo a.C. vi fondarono la pòlis; per l’epoca Lucana durante la quale la città mantenne la sua ricchezza e il suo prestigio grazie ad una proficua mescolanza di lingue e tradizioni, fino ad arrivare al tempo dei romani che, conquistata la città nel 273 a.C., ne cambiarono il nome in Paestum.

Il viaggio al Parco Archeologico di Paestum e Velia inizia visitando il Tempio di Nettuno (metà del V sec.): in perfetto stile dorico, periptero esastilo con 14 colonne laterali e cella tripartita, è il più maestoso nonché meglio conservato dei templi di Paestum. Inizialmente fu attribuito a Nettuno, studi recenti però lo riferiscono ad Apollo,  figlio di Zeus e di Latona, dato il ritrovamento di una sua immagine su di un basamento posto come base del colonnato.

Accanto ad esso sorge il Tempio di Hera (metà del VI sec. a.C.), sempre in stile dorico, periptero enneastilo, ovvero circondato da una fila di colonne su tutti i lati con 9 colonne sul fronte, 18 colonne laterali e cella bipartita, dedicato ad Hera, corrispettivo greco della dea Giunone nel culto romano. Per i greci ella rappresentava la dea del matrimonio, della fedeltà coniugale e del parto ed era la sposa di Zeus.

Tra questi due templi, nel luglio del 2019, è stato posizionato il “Cavallo di Sabbia” di Mimmo Paladino realizzato dall’artista beneventano, esponente della transavanguardia italiana, nel 1999. Prima di essere chiamata Paestum la città si chiamava Poseidonia, da Poseidon, il corrispettivo del Dio Nettuno nella mitologia greca. Poseidon, fratello di Zeus, oltre ad essere il Dio del Mare, era anche il signore dei cavalli, da qui l’intuizione dell’artista che realizza, ricoprendola con la sabbia delle spiagge limitrofe, la sua opera d’arte.

Oltre a quello di Nettuno e a quello di Hera c’è il Tempio di Atena (fine del VI sec. a.C.), inizialmente attribuito a Cèrere che, nel culto dei romani, era la divinità materna della terra e della fertilità, della nascita e degli esseri viventi. In seguito però al ritrovamento di numerose statuette votive in terracotta che raffigurano Athena, si è più propensi a pensare che fosse a lei dedicato. Figlia prediletta di Zeus, era per gli antichi greci la dea della sapienza e delle arti.

Il sito archeologico però non è costituito solo da questi tre maestosi ed ottimamente conservati esempi di architettura dorica. Il Parco Archeologico di Paestum e Velia infatti ha tanto altro da offrire ai propri visitatori: il foro romano, l’anfiteatro, il comizio, la piscina, il mercato, le tabernae, le terme, le case e l’ekkelesiasterion, luogo di incontro dell’assemblea popolare al tempo degli antichi greci, insieme alla Tomba del Tuffatore, custodita all’interno del Museo archeologico, sono le altre perle che vanno a costituire il patrimonio paestano.

La Tomba del Tuffatore, ritrovata a 1,5 km a sud di Paestum nel 1968, risale al 480/70 a.C. rappresenta una rarità nel campo dell’archeologia dato che i greci non erano soliti decorare le tombe  con affreschi. Essa rappresenta un giovane nudo che si tuffa nell’oceano ed è da considerarsi probabilmente come un’immagine metaforica: il giovane che si tuffa dall’alto nell’acqua rappresenterebbe infatti il passaggio dalla vita all’aldilà. L’affresco andava a decorare la lastra posta vis à vis con il defunto e costituiva la parete di copertura della tomba. 

Acquistando il biglietto di ingresso è possibile visitare anche Velia. Famosa per essere stata la patria della scuola filosofica di Parmenide e di Zenone, fu fondata nel VI sec. a.C. nel 540 circa, ad opera dei Focesi. Gli abitanti di Focea, lasciata la madrepatria poiché assediata dai Persiani, dopo un lungo viaggio si rifugiarono sulla costa del cilento chiamandola inizialmente Hyele, prendendo il nome da una fonte, che divenne poi Elia e in età romana, Velia. La città presenta una parte alta, l’acropoli, mentre i retrostanti pendii collinari sono circondati da un ampio circuito di mura che segue il profilo naturale del suolo. Al suo interno, lo spazio urbano si articola in tre quartieri distinti, ancora oggi visitabili, messi in comunicazione tra loro da valloni, uno dei quali monumentalizzato dalla costruzione della straordinaria “Porta Rosa”, il più antico esempio di arco a tutto sesto d’Italia.

Visitare il Parco Archeologico di Paestum significa entrare in un varco temporale che ti permette di tornare indietro nel tempo all’epoca dei greci e dei romani, dove le architetture erano pensate per dialogare con il paesaggio delineandone una bellezza senza tempo. Passeggiare di fianco oppure all’interno degli antichi templi commuove, lasciando un nodo in gola e chiudendo e riaprendo gli occhi, forse si possono  incontrare abitanti dell’epoca con indosso i tipici abiti di quel tempo, un guerriero e perché no, Zeus o Hera che, sorridendo, daranno il benvenuto nella splendida Poseidonia.

INFO:
Il Parco Archeologico di Paestum e Velia è visitabile dal lunedì alla domenica, dalle 09:00 alle 19:30 (ultimo ingresso ore 18:45), la prenotazione è consigliata ma non obbligatoria. L’ultimo ingresso a Velia, delle 18:45, consente di visitare solo la città bassa (visita breve).

È possibile acquistare il biglietto online sul sito ufficiale ma anche presso la biglietteria della Porta Principale (di fronte al Tempio di Nettuno), dalle 09:00 alle 18:45, ha una validità di 3 giorni ed include sia Paestum che Velia.

Di recente, intorno all’area archeologica dei templi, è stato predisposto un percorso fruibile anche da coloro che hanno disabilità, in modo tale da dare la possibilità a tutti di poter godere di queste meraviglie e quando la situazione riguardante il coronavirus lo permetterà di nuovo, il Museo Archeologico riattiverà gli ingressi anche all’archivio dove sono conservati altri tesori che sono ancora oggetto di studio, catalogazione o diversa destinazione.

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