Cinema

The Power of the Dog, la recensione del film di Jane Campion in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

Gli amanti del genere Western saranno contenti di sapere che in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia c’è The Power of the Dog diretto da Jane Campion il film targato Netflix è tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage (Il potere del cane edito in Italia da Neri Pozza).

Siamo in Montana, nel 1920 in quello che si può definire un post-western. Qui l’introverso allevatore Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) incute paura e timore reverenziale a tutti quelli che lo circondano. Quando il mite e più colto fratello George (il grandissimo Jesse Plemons) porta a casa la nuova moglie, la vedova Rose (Kirsten Dunst), con il figlio di lei, Phil non ci sta ad accettare quelli che considera solo degli estranei e li comincia a tormentare in una guerra senza esclusione di colpi.

In un perfetto scenario in tema con il genere, gli interpreti sono in uno stato di grazia e Benedict Cumberbatch in particolare restituisce un perfetto cowboy americano, nonostante le sue origini inglesi. Le sfumature narrative del film sfociano perfino nel thriller, passando anche per il melodramma.
Nel corso della visione ogni punto di svolta, o plot twist, il film mette lo spettatore nella condizione di farsi delle domande su come procederà la storia e da un passaggio all’altro le ipotesi sono tante. Sicuramente questo elemento mantiene alta l’attenzione e allo stesso tempo ci tiene sulle spine.

In The Power of the Dog vi si trovano molti cambi emotivi dei personaggi, sorprendenti e in alcuni casi inaspettati. Non si fa altro che pensare tutto il tempo ad una sola cosa: quando arriva il morto?
Questo perché i nervi di ogni personaggio sono costantemente tesi come delle corde di violino. Tutto sta nel capire chi cederà e al riguardo, di ipotesi lungo il percorso, se ne fanno tante.

Gli stessi rapporti tra i personaggi, due in particolare, cambiano da un momento all’altro. Questo elemento costituisce forse un punto a sfavore, dal momento che il film è diviso in capitoli, proprio come se stessimo assistendo a una versione video di alcuni capitoli del libro con parti saltate.

Un cambio emotivo e psicologico interessante è per esempio quello del figlio di Rose, Peter (Kodi Smit-McPhee), inizialmente personaggio in disparte e apparentemente vittima che però rivela attraverso tanti piccoli atteggiamenti una psicologia molto più calcolatrice di quanto sembri. L’elemento psicologico dunque gioca un ruolo importante contribuendo ad arricchire il film di generi.

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