Cinema

Armageddon Time al Festival di Cannes. La storia di un bambino che voleva diventare un artista. Recensione

Armageddon Time di James Gray è nella selezione ufficiale del Festival di Cannes e racconta la storia di un bambino che vive in una famiglia ebrea modesta ma dai grandi valori e che sogna di diventare un giorno un pittore famoso. Come tale, il suo comportamento è spesso ribelle e anarchico, i suoi sono continui tentativi di sovvertire le regole e vivere fuori dagli schemi.

In risposta a un atto illegale, viene sorpreso in bagno a fumare una canna con un amico, viene spedito in una scuola privata in cui è richiesta la divisa ed è la quintessenza delle regole e dell’omologazione.

La storia si basa sull’esperienza del filmaker negli anni in cui era uno studente presso la Kew-Forest School nel Queens. Fred Trump era il preside della scuola privata e Donald Trump era uno degli alunni.

Il film vanta un cast stellare: Anne Hathaway, Jeremy Strong, Anthony Hopkins e la partecipazione, nei panni della signora Trump, di Jessica Chastain.

Ancora una volta il lessico famigliare è al centro dell’attenzione, il cuore stesso del film e lo stiamo vedendo in questi primi giorni di Festival con film come When You Finish Save The World, Tirailleur, Le otto montagne e questo probabilmente dipende dal fatto che in questi anni la famiglia e i rapporti all’interno di essa stanno cambiando ancora e ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale.

Nel caso di questo film siamo di fronte a un racconto ambientato negli anni ottanta e quindi in un passato più o meno prossimo, in cui la famiglia specialmente in quartieri popolari come il Queens a New York è ancora tradizionalista.

A guardare questo gruppo di personaggi gli si vuole davvero bene fin dal primo sguardo perché è impossibile non immedesimarsi in tutte quelle piccole dinamiche che tutti abbiamo vissuto, dalle cene tutti insieme ai litigi, passando per i rituali religiosi che anche in una qualsiasi famiglia cattolica italiana abbiamo visto, anche se in questo caso si tratta di ebrei.

Hopkins interpreta il ruolo del nonno con la famiglia sterminata durante l’olocausto e la cui madre emigrò dall’Ucraina. Il suo ruolo è un gioiellino anche se il premio Oscar sir Hopkins questo ruolo lo avrà fatto a occhi chiusi. D’altronde un nonno per sua costituzione racconta e chi può farlo meglio di lui se non un attore del suo calibro che con la parola ci sa fare? Insomma è il nonno che tutti vorremmo o che forse abbiamo avuto e poi perso.

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Le scene nella scuola privata sono piuttosto surreali e senz’altro metaforiche, la stessa presenza dei Trump è alquanto inquietante anche se essi rappresentano il denaro fine a se stesso, qualcosa che non interessa il protagonista.

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C’è anche una storia di amicizia, struggente perché uno dei due non ha gli stessi mezzi dell’altro e anzi vive una serie di problemi familiari che lo conducono sulla cattiva strada ma proprio questa sua ribellione affascina il protagonista portandolo a spingersi sempre oltre e, insieme ai consigli del nonno, questa sarà la giusta spinta per lui di andare incontro al suo destino.

Un film godibile dall’inizio alla fine quello di Gray, fatto in modo tale da potersi riconoscere in diverse situazioni e con la giusta dose di ironia da non renderlo mai lento.

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