Cinema

Ted Bundy: Confessioni di un serial killer, crudo tête-à-tête con Ted Bundy. Recensione

La regista Amber Sealey riesce a evitare la feticizzazione del famoso serial killer, mentre il profiler dell’FBI Elijah Wood intervista Bundy mentre si trova braccio della morte.

La descrizione di questo dramma claustrofobico – che si ispira a fatti realmente accaduti, con il profiler dell’FBI Bill Hagmaier (Elijah Wood) che intervista il serial killer Ted Bundy (Luke Kirby) mentre l’orologio conta alla rovescia fino al momento dell’esecuzione dell’assassino – porterebbe senza dubbio la maggior parte delle persone a pensare: noia! Non vogliamo un altro tentativo di sfruttare la nostra fascinazione per gli omicidi misogini.

Ma la regista Amber Sealey riesce a decostruire in parte il genere della stanza degli interrogatori con un approccio tagliente e semi-sperimentale, portando un occhio fresco al soggetto che è solo in parte attribuibile al fatto che si tratti di una regista donna. Certo, c’è un po’ di riappropriazione femminista, ma l’autrice sembra altrettanto interessata ad approfondire questioni senza genere come l’empatia, il crimine, la punizione e la narrazione stessa.

La trama è piuttosto semplice e così scarna che avrebbe potuto tranquillamente essere un pezzo perfetto per il teatro. Siamo negli anni ’80 e Hagmaier viene incaricato dalla nuova unità di profiling dell’FBI di cercare di far parlare Bundy, appena condannato. Non abbiamo uno sprovveduto sotto quell’aspetto da ragazzo (il personaggio di Wood è perfetto), Hagmaier all’inizio vuole davvero scoprire cosa potrebbe spingere Bundy a parlare.

Ma sa di dover camminare su una linea sottile tra il sedurre Bundy con un’intelligenza che corrisponda a quella dell’assassino senza assecondarlo o collaborare. Nel corso di una serie di interviste distribuite su diversi anni, i due uomini creano, se non proprio un’amicizia, uno strano tipo di legame che fa sì che Hagmaier svolga un ruolo cruciale nel finale, quando gli viene chiesto di valutare se Bundy sia pazzo o meno.

Entrambi gli attori hanno un tempismo tagliente e il tipo di intensità necessaria per far funzionare questa struttura essenzialmente a due. Kirby ha la capacità di mostrare quel fascino astratto di Bundy e il suo strano tono di compiacimento, non sembra mai una semplice imitazione. Sealey e la sua troupe mantengono la macchina da presa mobile e il montaggio agile per aggiungere propulsione al dramma, soprattutto utilizzando strani tagli flash di filmati d’archivio e riprese passate per scuotere le acque.

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Nella scena forse più straordinaria, la macchina da presa zooma lentamente e segue un’assistente di produzione televisiva che a malapena ottiene una riga di dialogo e non viene nemmeno nominata nei titoli di coda; il suo volto diventa uno specchio per tutti noi mentre ascolta Bundy raccontare alcuni dei crimini che non aveva mai confessato prima, prima che lo Stato ponga fine alla sua vita.

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