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Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere: sbalorditivo da far sembrare House of the Dragon una serie amatoriale. Recensione episodi 1 e 2

Lo splendore estetico di questo ricco e magnifico dramma tolkieniano vi farà rimanere senza parole. Guardatelo sul televisore più grande che potete.

Il Signore degli Anelli: The Rings of Power, uscito su Prime Video il 2 settembre, è destinato a dividere uno degli spettacoli per la televisione tra i più imponenti e magnifici. È così ricco e splendido che è facile passare il primo episodio semplicemente a guardare i paesaggi, mentre si libra in picchiata tra le terre degli elfi e dei nani, degli umani e dei pelopiedi.

Questa è una visione fatta apposta per i grandi schermi, anche se sicuramente destinata a essere guardata su quelli più piccoli, ed è un vero sacrilegio. È così cinematografica e grandiosa che fa sembrare House of the Dragon un prodotto costruito con Minecraft, ed è tutto dire, visto che reputo la serie meravigliosa.

Si rende davvero difficile giudicare Gli Anelli del Potere come una serie ordinaria, perché molte cose sono straordinarie, si tratta di Tolkien, il che significa che questo mondo è già venerato e amato da molti, sia sotto forma di libri sia di film di Peter Jackson o di entrambi. Le aspettative sono estremamente elevate prima ancora che lo spettatore prema il tasto “play”.

Se a ciò si aggiunge che si tratta della serie televisiva più costosa mai realizzata (465 milioni di dollari per otto episodi), è difficile considerarla una serie come le altre. È un evento, uno spettacolo, quindi il rischio è davvero dietro l’angolo, se non è tutto perfetto potrebbe diventare presto un fallimento.

I primi 10 minuti dell’episodio di apertura stabiliscono un ritmo e un tono incredibilmente intenso e robusto. L’inizio è tranquillo e piacevole, con una giovanissima Galadriel che naviga su una nave di carta nelle “terre eterne” di Valinor.

Successivamente, il ritmo si fa incalzante, attraversando secoli di storia e di guerra e, cosa fondamentale, il disfacimento dell’oscuro signore Morgoth. Solitamente non trovo corretto, per un prodotto di intrattenimento, dover costringere il pubblico a leggere per forza degli abbecedari prima di imbarcarmi in una nuova serie – questo perché se fatta bene dovrebbe stare in piedi da sola – ma in questo caso è probabilmente utile fare una piccola parte di compiti a casa.

Quindi mettiamo un paio di info pratiche: quando si svolge, al crepuscolo della Seconda Era, Galadriel (Morfydd Clark) è il comandante degli eserciti del Nord, la Guerriera delle Terre Desolate, che dà ancora la caccia al luogotenente di Morgoth, Sauron, sulla base di un’intuizione, secoli dopo che la maggior parte degli elfi lo ritiene sconfitto.

Il personaggio di Galadriel la combattente sembra interessante, è valorosa, imperfetta e altezzosa, tanto sanguinaria quanto brillante, segnata dagli orrori della guerra. Se questo non vi sembra molto affascinante, aspettate di vedere cosa fa a un troll delle nevi.

Se gli elfi portano l’intensità, i Pelopiedi, predecessori degli hobbit, che si preparano alla loro migrazione stagionale, sono pieni di luce e di gioia. I giovani Pelopiedi raccolgono bacche e si divertono nel fango, mentre i loro anziani (tra cui Lenny Henry) sono a disposizione per spiegare come tutto si concilia, attraverso alcune rivelazioni indesiderate riguardo a chi abita dove e quale terra proteggono.

L’episodio di apertura ci introduce anche nelle Terre del Sud, dove elfi e umani coesistono in modo inquieto tra decenni di risentimento in seguito alla guerra.

Bisogna attendere il secondo episodio, con l’arrivo dei nani, perché si diffonda la sensazione di coinvolgimento, la sensazione che si tratti di un mondo pienamente realizzato in cui vale la pena immergersi con tutto il cuore. I nani lo rafforzano e mitigano alcuni degli istinti più pomposi della serie, non è uno spoiler dire che l’idillio iniziale si infrange presto.

L’insistenza degli elfi sul fatto che “i giorni di guerra sono finiti” è più un sogno che una fredda analisi politica, fin dall’inizio si intuisce che la decadenza è nell’aria e non ci vuole molto perché questi accenni si trasformino in sirene che lanciano avvertimenti a gran volume. Quando diventa inquietante, lo è davvero. Verso la fine del secondo episodio la tensione si fa sentire e la situazione è molto più raccapricciante di quanto mi aspettassi.

Ci sono giusto un paio di piccole osservazioni e perplessità. In alcune occasioni, c’è un sentore di una recitazione da “puzza di bruciato”, che forse è difficile da evitare quando ogni altra battuta è un aforisma ben studiato e elaborato per smuovere le coscienze.

Anche il ritmo è piuttosto oscillante, o passa velocemente attraverso scene d’azione sbalorditive, o si sofferma su una singola conversazione o su uno sguardo significativo. Ma si tratta di cavilli e, alla fine, lo spettacolo vince. Si tratta di una televisione estremamente godibile, una festa del cinema.

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