Cinema

The Whale è IL Film di Venezia 79. Tutta la sala commossa per l’interpretazione di Fraser. Recensione

In concorso a Venezia 79, Darren Aronofsky porta al Festival un film che commuove e va in profondità, facendo davvero male e riuscendo a toccare le corde giuste. Con The Whale abbiamo inoltre assistito alla riscatto di Brendan Fraser. Se il film non riceve il Leone d’oro, almeno ci si aspetta la coppa Volpi per Fraser e minimo una candidatura all’Oscar. 

L’azione si svolge a casa di Charlie (Brendan Fraser), un docente di letteratura che tiene corsi online. Charlie non accende mai la webcam perché non vuole farsi vedere dagli studenti. Charlie è obeso, la sua è una forma molto grave di obesità, Charlie quasi certamente non riuscirà a superare la settimana, sta morendo. 

Ma prima di passare a miglior vita Charlie vuole recuperare il rapporto con sua figlia Ellie, una quindicenne problematica ma davvero molto intelligente con un talento per la scrittura di cui non è ancora consapevole.Ellie odia suo padre per averla abbandonata e non vuole saperne niente di lui ma questi la convince ad andare a trovarlo per aiutarla con i temi di scuola.

La macchina da presa non esce mai da casa di Charlie e si muove molto poco, resta ferma a osservare quanto accade in questa casa abbandonata a se stessa e al suo proprietario che si è lasciato andare a sua volta superando il limiteCharlie amava un uomo e per questo ha lasciato la madre di Ellie che a suo tempo era la moglie, era innamorato e la sua ex moglie gli impedì di vedere sua figlia. 

Brendan Fraser è straordinario e Aronofsky è chirurgico nell’osservazione di quest’uomo solo che deve affrontare ogni giorno una battaglia con il suo stesso corpo. Fraser commuove tutti praticamente recitando solo con gli occhi, è straordinario e ogni suo dolore, ogni gioia, ogni battuta sono anche nostri.

The Whale, un’interpretazione da Oscar

Brenda Fraser si è guadagnato ben 7 minuti di applausi per il ruolo di Charlie, un padre che cerca di ricucire il rapporto con la figlia e che al termine della sua vita comprende che la cosa migliore che abbia mai fatto sia proprio lei. 

The Whale parla di amore, per la famiglia, per la persona con cui si condivide la vita, ma parla anche inevitabilmente di morte, intesa anche come cambiamento e passaggio al nuovo. Il film nella sua semplicità registica che va a sorreggere un’immensità attoriale scava nel profondo delle nostre insicurezze più grandi e ci ricorda che tanto dolore è legato al cibo. 

Abbuffarsi per consolarsi, per colmare i vuoto, per anestetizzare il dolore, quante volte lo abbiamo fatto? 

E quante volte ci siamo aggrappati a stupide convinzioni per trovare una soluzione? Quanti di noi si affidano alla religione per superare il dramma dell’esistenza su questa terra? E quanti libri abbiamo letto per viaggiare in mondi lontanissimi, quanti di questi libri ci hanno salvato? 

Al centro di tutto c’è un libro, uno dei più letti al mondo e sul quale tanto si è dibattuto e si dibatte ancora: Moby Dick di Ermann Melville. Ogni volta che gli viene un attacco Charlie recita a memoria o si fa leggere un passo tratto dalla tesina, presumibilmente di uno studente (scopriremo più avanti di chi si tratta) che parla proprio di Moby Dick e in particolare si sofferma su un passaggio che fa riferimento alle parti noiose del libro, le descrizioni delle balene e tutti i tecnicismi che ne riguardano la caccia per “risparmiare al lettore, almeno per un po’ la sua triste vita”. 

In questo estratto vi troviamo tutto il dolore esplorato nella storia di Charlie, la “balena” che tra i ricordi di un passato felice e la morte in arrivo trova ragione di esistere (o per meglio dire essere esistito) grazie a sua figlia, il lascito più importante. 

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