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Uno, nessuno, centomila radical chic: il censimento di Giacomo Papi

Un’Italia trascinata dalla rabbia della gente comune, manipolata da un astuto primo ministro che ne sfrutta le paure e le passioni, e incattivita verso gli intellettuali, visti come parassiti che la vogliono incantare.

Questo è il quadro che Giacomo Papi (classe ’68, scrittore, giornalista, autore tv e direttore della scuola di scrittura Belleville di Milano) ci presenta ne Il censimento dei Radical Chic edito da Feltrinelli.
Quasi un affresco dell’Italia di oggi, portato all’estremo paradosso, in un momento storico in cui si discute davvero sulla crisi delle élite e dell’ascesa del populismo e dell’incapacità della classe intellettuale di mantenere il suo secolare ruolo di “guida”.Profetico? Speriamo di no, anche se con la sua galoppante ironia l’autore ci presenta un governo  che lancia una campagna di semplificazione della lingua e del pensiero, con nuove grammatiche, ministeri dell’Ignoranza e censori…
Un libro dal retrogusto un po’ amaro, quasi inquietante, in cui si respira una nostalgica voglia di cambiamento.
Il libro, la cui pubblicazione è immaginata in questa Italia potenzialmente futura e ribaltata, è descritto come “approvato dall’Autorità garante per la Semplificazione della Lingua italiana”, un po’ alla Orwell, come indicano anche le note correttive del Funzionario Redattore Ugo Nucci, Frun.
Perchè è a partire dal linguaggio che si manifesta la volontà di potenza, quella degli intellettuali che in virtù della propria cultura si sentono giustamente superiori.
Ma come scrive anche Michela Murgia, in una sorta di “inception” letteraria ancora più provocatoria, nel suo “Istruzioni per diventare fascisti”: “[…] il linguaggio fascista è più democratico del politicamente corretto, perché non fa sentire inferiore nessuno, […] ogni volta che qualcuno cercherà di pretendere l’uso di espressioni raffinate o diplomatiche, starà offrendo l’occasione di mostrare al popolo che i democratici si preoccupino di più di mettergli in bocca il congiuntivo che non il pane. […] solo così i radical chic impareranno che non esiste una società al mondo dove i popoli preferiscano il congiuntivo”.
Se nella Murgia si trovano sicuramente più riferimenti espliciti, nel Censimento i toni “realistici” si abbassano anche se il parallelismo è interessante.
Qui ritroviamo scoppi d’ira, insulti via web e in una infinita caccia alle streghe: prima nei confronti dei clandestini, poi dei raccomandati, poi degli omosessuali, infine degli intellettuali.
Il clima nazionale porta all’uccisione di uno di loro, il professor Giovanni Prospero, colpevole di aver citato Spinoza in un talk show e, a metà strada tra l’essere un pamphlet politico e un thriller, ne Il censimento dei Radical Chic la fiera del grottesco si dipana davanti agli occhi di Olivia, la figlia del Professor Prospero, che cerca le ragioni della morte del padre ostacolata dall’ottusità ignorante delle masse e da quella intelligente di coloro che accettano entusiasti di farsi censire.
Una minoranza privilegiata che ha portato (e porterà) l’Italia in rovina.
Ma contro il nemico numero uno (la cultura) si erge a paladino il Primo Ministro, anche Ministro dell’Interno, che sparge odio e qualunquismo forte del suo mai calante appoggio popolare. Ma “Perché li chiamavano radical chic? Che cosa faceva di un radical chic un radical chic? Avere letto qualche libro in più e comprare cibi e vestiti etnici?“, ci si chiede nel romanzo.
E lì sta la chiave di tutto… l’intellettuale è ciascuno e nessuno al tempo stesso.
Siamo tutti “in pericolo” e come dice il Primo Ministro (e anche la Murgia) per comandare, l’intelligenza, serve solo se la tieni nascosta.

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