Ambiente

World Ocean Day. Tante gocce d’acqua unite formano un oceano, da rispettare

Oggi è il World Ocean Day e cade ogni anno l’8 giugno, di conseguenza vogliamo parlarvi dell’acqua: una parola di sole cinque lettere al cui interno è contenuta l’essenza della vita stessa. Il nostro organismo è costituito mediamente dal 70% d’acqua, ma possiamo imbatterci in percentuali più elevate addentrandoci nel regno animale: 74% nei polli, 78% nelle rane, 80% nei lombrichi ed il 95% nelle meduse.

Qual è l’importanza di questa massa di acqua? Per citare alcune delle funzioni più importanti, abbiamo: lo scioglimento delle sostanze nutritive in modo da diffonderle nei vari tessuti, l’eliminazione delle scorie tossiche, inoltre l’acqua conferisce consistenza ed elasticità ai tessuti ed assicura la termoregolazione. Funzioni essenziali ed indispensabili per tanti e tanti organismi, che senza acqua cesserebbero di esistere.

La prima ideazione concettuale del World Ocean Day (Giornata Mondiale degli Oceani) risale al “Summit della Terra” avvenuto a Rio de Janeiro nel 1992, quando l’idea era quella di creare una ricorrenza per celebrare il legame degli esseri umani con il mare e gli oceani. Tralasciando però questo lato romantico, l’obiettivo principale era di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fondamentale ruolo degli oceani nel mondo, sempre più in pericolo grazie al determinante sfruttamento umano. Nel dicembre del 2008 l’UNESCO ha ufficializzato la giornata. Ogni anno in occasione del World Oceans Day viene posto l’accento su un diverso tema di riflessione e per il 2021 il focus sarà The ocean: life and livelihoods, tradotto: “Oceano: vita e sostentamento”, e farà luce sulla meraviglia dell’oceano e su come sia la nostra fonte di vita, sostenendo l’umanità e ogni altro organismo sulla Terra.

È interessante sottolineare come la grande maggioranza delle persone, ignori quali siano le funzioni svolte dall’oceano; per qualcuno è solamente una pulsante massa d’acqua racchiusa dalle coste dei vari continenti. Grave errore perché gli oceani svolgono importanti funzioni per la nostra Terra, infatti sono definiti i “polmoni” del nostro pianeta, in quanto forniscono la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo e al contempo sfamano circa 3 miliardi di persone (unica fonte di proteine proveniente dal pescato). Due singole funzioni che potrebbero già sole far sgranare gli occhi agli increduli, ma un’altra determinante funzione viene svolta per la nostra sopravvivenza: gli oceani infatti assorbono circa il 30% dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo, funzione che permette il mantenimento del delicato equilibrio della biosfera.

Gli oceani non sono però sterili masse d’acqua ondeggiante, brulicano di vita, sia in termini di flora che di fauna, rappresentano un ecosistema straordinario che per milioni di anni si è evoluto, trasformato e ha donato vita alla terraferma. A questo proposito è dedicato il quattordicesimo punto degli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile della Nazioni Unite 2015-2030 (Sustainable Development Goals, SDG) che delineano un nuovo paradigma di politica di sviluppo globale, sostenibile e inclusivo. I governi degli Stati del mondo che li hanno sottoscritti si sono impegnati a collaborare per conseguirli, coinvolgendo una pluralità di attori della politica, dell’economia e della società civile mondiale.

L’obiettivo recita testualmente di “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”, e con i suoi sette target e le sue tre disposizioni relative alle modalità di attuazione è un obiettivo davvero importante. L’obiettivo in sé, i suoi target e le modalità di attuazione rinforzano e danno una nuova attenzione e urgenza alle prescrizioni internazionali esistenti su oceani e mari, già emanate in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo del 1992, del Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2002, della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20) del 2012, e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, entrato in vigore nel 1994.

Che mondo paradisiaco, perfetto, ben amministrato, non sfruttato… Oh wait! Questa è roba da film!

Purtroppo, come sempre accade, l’uomo porta anche agli oceani il suo nefasto contributo. Scarichi non controllati, pesca senza regole, inquinamenti di ogni tipo, disinteresse verso i legittimi abitanti degli oceani… Questa è sola una minima parte del contributo umano sull’ecosistema marino; nel corso dell’ultimo secolo complice lo sviluppo esponenziale umano, gli oceani stanno soffrendo per la nostra contribuzione al suo ambiente.

Doveroso dedicare qualche parola al principale inquinante prodotto dall’uomo: la plastica. È stimato che ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscano in mare, causando terribili danni all’ambiente marino, rovinando le spiagge e danneggiando la salute degli esseri umani.

«Credo ch’un spirto del mio sangue pianga la colpa che là giù cotanto costa» XXIX canto dell’inferno di Dante Alighieri, in italiano corrente suona come: “Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”.

Perché scomodare il sommo poeta in questa vicenda? Perché l’uomo, come sempre, inquina e spadroneggia, ma non si rende conto di arrecare un danno anche a sé stesso. La plastica è in grado di “risalire” la catena alimentare a partire anche dagli organismi più piccoli, come il plancton. L’inquinamento delle acque del nostro pianeta è a uno stadio così avanzato che, entro il 2050, si stima che il 99% degli uccelli marini avrà ingerito della plastica.

Il tempo di decomposizione della plastica è di centinaia di anni e trovandosi a galleggiare in acqua cosa mai succederà? Si formeranno enormi isole galleggianti di rifiuti; ma non finisce qui, infatti questa plastica è facile che venga ingerita da: pesci, gabbiani, tartarughe e cetacei causandone la morte. Gran parte dell’inquinamento marino, poi, è dovuto alla presenza di micro-granuli di plastica, minuscole particelle rilasciate dagli oggetti che si decompongono, dai saponi e dai cosmetici che finiscono in mare. Tristemente la tragica narrazione non ha ancora fine, infatti recenti studi dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e del Policlinico delle Marche ha portato alla scoperta di microplastiche nella placenta umana, l’uomo ha inquinato pure sé stesso.

Molti di questi fatti, ed altri ancora, sono stati portati alla luce dal docu-film di Ali Tabrizi dal titolo “Seaspiracy”; sebbene non apprezzi il modus operandi con cui è stato condotto, il documentary film ha portato alla ribalta molti temi che sembravano scomparsi da anni: caccia alle balene, massacri di delfini, pesca senza regole… che purtroppo esistono ancora, anche se il mondo sembra chiudere un occhio riguardo all’argomento.

Dal diverso taglio produttivo, tematiche simili compaiono nella serie tv “Racconti di Luce”: nella terza stagione il fotografo Shawn Heinrichs, lotta per proteggere la biodiversità in rapido declino negli oceani, catturandone la bellezza in immagini mozzafiato. Con uno stile molto più presentabile ad un pubblico senza distinzioni di età per via dei contenuti. Il tono è più rilassato e le situazioni più gestibili e “legali”; sono presenti riferimenti molto importanti anche alle attività intraprese dalle varie nazioni, chi mai penserebbe che il consumo di “pinne di squalo” è calato di quasi 2/3 grazie ad uno spot con protagonista il campione di basket Yao Ming? Eppure è così, il buon esempio paga.

Tornando all’inquinamento da materie plastiche, un secondo fattore indiscusso è attribuibile alla cattiva gestione dei rifiuti. Può sembrare paradossale, ma anni di cattive abitudini, di incuranza e di sprechi hanno condotto a una situazione non più sostenibile. Per fortuna, sempre più Paesi stanno correndo ai ripari diminuendo o regolamentando l’utilizzo delle plastiche monouso e delle microplastiche essendo, di fatto impossibile, per ora, eliminare del tutto perché le microplastiche, oltre che nella disgregazione della plastica, sono presenti per esempio, nella cosmetica e nel make up (tipo le microsfere dei dentifrici o degli scrub), nei detersivi e anche nei tessuti sintetici del fast fashion, senza dimenticarci degli pneumatici, che le disperdono nell’ambiente solo essendo utilizzati. La direttiva Europea che vieta l’uso delle plastiche monouso potrebbe essere una svolta importante per andare nella giusta direzione. Ma non è ancora abbastanza.

In conclusione: i responsabili devono agire per risolvere il problema, le parole non servono, c’è bisogno di azione, di legge, di rispetto. Ogni abitante di questo pianeta deve sentirsi in debito e contribuire al corretto smaltimento delle plastiche, se non il possibile abbandono di tale materia prima, la strada è lunga ma percorribile. Una corretta educazione ambientale alle nuove generazioni dovrebbe essere d’obbligo se vogliamo fermare la distruzione che l’uomo, ancora, sta portando anche in mare.

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