La valle dei sorrisi fuori concorso a Venezia 82. Un buon horror italiano
Paolo Strippoli arriva con un horror che passa in sordina alla Mostra del Cinema di Venezia 2025 ma che avrebbe potuto benissimo reggere il concorso ufficiale
Da alcuni anni in Italia i generi cinematografici si sono appiattiti e mescolati in un unico magma nel quale non sempre è possibile incasellare una storia. I certi casi, se ben calibrata la mescolanza dei generi è accettabile, ma si rischia di perdere il genere in senso stretto, infatti nel cinema italiano ormai vediamo soprattutto commedia (più o meno sofisticata), drammi familiari e ricostruzioni storiche. Generi come l’horror e il western non se ne vedono da un po’.
Per fortuna alcuni registi italiani stanno cercando di riportare i generi al cinema e tra questi c’è per esempio Gabriele Mainetti e, in questo caso, Paolo Strippoli con il suo La valle dei sorrisi, un buon film di genere horror che porta la novità in sala.
Con La valle dei sorrisi, Paolo Strippoli intreccia il cinema di genere con una sensibilità profondamente radicata nel nostro presente. L’ambientazione, apparentemente idilliaca, si rivela presto un territorio inquieto, dove la quiete di Remis (il paese di montagna in cui si svolge l’azione) contrasta con le ombre interiori dei personaggi e con un segreto che molto presto si rivelerà fatale per il protagonista Sergio, professore di ginnastica al liceo ed ex campione di Judo.
Nel passato del protagonista c’è qualcosa di troppo doloroso da ricordare e Remis sembra il posto ideale in cui farsi una nuova vita. Qui trova un paese pieno di persone felici e soddisfatte della propria, eppure anche nel loro passato c’è qualcosa di oscuro, mascherato da qualcosa di divino. Un ragazzo, inspiegabilmente, è un guaritore e grazie al potere del suo abbraccio tutto il male nei pensieri di una persona svanisce. Anche Sergio si lascia abbracciare dal ragazzo e in un primo momento sembra ritrovare la leggerezza perduta, senza sapere che quell’abbraccio ha un costo.
Non un semplice horror
Non è solo horror, né soltanto un thriller: è un racconto che indaga la fragilità dell’essere umano, l’incapacità di gestire il dolore, la paura del diverso e il bisogno ancestrale di appartenere a un gruppo. Il titolo stesso, ironicamente rassicurante, funziona come un paradosso: i sorrisi che popolano la valle non rappresentano la gioia, ma piuttosto mascherano la dannazione.
Strippoli lavora sui dettagli, ispirandosi probabilmente ad Ari Aster e al suo Midsommar e al Miglio verde di Stephen King, costruendo una storia che fa paura proprio perché ancorata sul dolore reale e al contempo con elementi fantastici inquietanti proprio come nei due film sopra citati. La paura non esplode mai in modo gratuito, ma serpeggia, insinuandosi negli interstizi delle relazioni umane. La tensione psicologica si mantiene altissima sfociando in pochi ma calibrati jump scare e soffermandosi in particolare su atteggiamenti e situazioni “infernali” come se Remis fosse appunto la dimora del diavolo in persona.
Prima o poi il dolore va affrontato
Prima o poi il dolore va affrontato. Come ogni buon horror, anche La valle dei sorrisi utilizza la paura non come fine, ma come strumento per portare alla luce ciò che si tenta di rimuovere. Il dolore, declinato in diverse forme, attraversa la narrazione come una ferita che non può essere ignorata: reprimerlo significa lasciargli il potere di trasformarsi in minaccia.
A questo si intreccia l’uso del tempo, che Strippoli piega a suo favore: la storia si muove tra un presente sospeso e un passato che ritorna implacabile, quasi a dire che ciò che non si affronta resta a galla, pronto a riaffiorare. In questo gioco di specchi emerge il cuore politico del film: i meccanismi di esclusione, i rituali collettivi che si tramutano in oppressione non sono soltanto invenzioni narrative, ma rimandi diretti alla nostra società contemporanea.