Mona Fastvold torna a Venezia con The Testament of Ann Lee in concorso ufficiale e in pellicola

Amanda Seyfried, The Testament of Ann Lee, fonte: Biennale cinema

Amanda Seyfried è Ann Lee, predicatrice esponente del gruppo religioso definito nell’Inghilterra del ‘700 “shakers”, detto anche Società Unita dei Credenti nella Seconda Apparizione del Cristo, ossia i membri di un ramo del calvinismo puritano.

L’opera di Fastvold è stata girata (e presentata qui a Venezia 82) in pellicola e ripercorre la storia di Ann Lee, mistica britannica nota anche con l’appellativo di Mother Mary, vissuta tra il 1736 e il 1784. Mary, interpretata da Amanda Seyfried era molto credente e la sua fede crebbe e si evolse all’interno del movimento degli shakers, del quale lei divenne la maggiore esponente, divenendo profeta della comunità. Il film racconta il suo percorso in chiave musicale, con diversi momenti cantati e danzati.

L’apertura del film è un’immagine molto suggestiva e d’impatto che ci porta subito nella storia. Si vede un gruppo di donne che prega cantando ed eseguendo danze rituali in un bosco. Subito è chiara l’impronta di tutto il film da quest’unica visione d’insieme ed è bene segnalare fin da subito che non si tratta di un musical nel senso classico del termine, poiché in questo caso le canzoni sono cucite nella storia con minuzia. Per intenderci, nessuno interrompe quello che sta facendo per cantare e ballare.

L’azione del canto e della danza sono inserite in un rituale, un momento di preghiera che scorre in modo fluido nella narrazione ed è funzionale al film. In una Mostra del Cinema sempre più assoggettata alla distribuzione in piattaforma e alle opere digitali (anche giustamente), Mona Fastvold propone un’opera di radicale audacia e resistenza proponendo un musical in 70 mm che si presenta come un canto sospeso tra epifania e estasi, che affida ad Amanda Seyfried, vestita della luce mistica di Ann Lee, il compito di incarnare un personaggio controverso e determinato.

Visione e forma cinematografica

Come si è detto The Testament of Ann Lee è stato girato su pellicola 70 mm, ed è uno slancio controcorrente in un’epoca digitale, un atto di resistenza visiva e sensoriale che si distingue anche per l’originalità dell’argomento dal momento che tratta di un ordine religioso antico in un contesto storico in cui il misticismo domina su ogni cosa e in ballo c’è anche la questione della sessualità, rifiutata, a confronto con la castità che invece viene vista come strumento di purificazione e avvicinamento al divino.

La fotografia—intenzionalmente monumentale—si sposa con un approccio che trasforma il sacro in corporeo, tangibile. I numeri musicali diventano rituali visivi, e la regia di Fastvold, nitida e complessa, non vacilla nella tensione tra rigore storico e libertà estetica. Una prova, questo film, del fatto che se un film è eseguito bene in tutti i suoi aspetti può risultare interessante perfino se dell’argomento narrato ci importa poco o zero.

Amanda Seyfried e la corporeità del mito

L’interpretazione Seyfried non è una recitazione ma una performance a 360 gradi: è un corpo che canta, geme, si apre all’esplorazione di una recitazione anche fuori dalle righe se vogliamo ma di certo molto coinvolgente. La regista non si risparmia, offrendo scene cruente e dolorose come la sequenza dei parti, (Ann Lee fu madre di quattro bambini, tutti morti in culla) e la rappresentazione della sessualità. A proposito di quest’ultimo argomento, dal momento che il personaggio di Lee ripugna la sessualità tanto da abbandonarla, poiché vissuta come qualcosa di sporco, la regista non asseconda questo pensiero puritano, ma piuttosto mostra dei rapporti sessuali pieni di passione e desiderio, visti nella loro dimensione reale e non demonizzati.

Ann Lee emerge come una figura che trasforma il lutto in utopia: quattro infanti scomparsi, una scelta estrema di nubilato e una leadership spirituale che scuote l’immaginario del XVIII secolo. In un alternarsi di canto e danza, la comunità shaker si materializza come corpo collettivo e corpo sacro, una rivoluzione ritualizzata in musica e movimento.

The-Testament-Of-Ann-Lee-Amanda-Seyfried, fonte: Biennale Cinema

Lo sguardo non solo estetico ma anche politico

Il film non è solo un viaggio storico: è un atto artistico contemporaneo. Fastvold porta sullo schermo un desiderio di utopia costruita dal basso. Ann Lee diventa mezzo per riflettere su giustizia, trascendenza, l’urgenza collettiva di riscrivere il mondo—parole della regista stessa. Il suo sguardo è politico perché è estetico, è estetico perché è profondamente politico. La colonna sonora di Daniel Blumberg è tanto audace quanto l’immagine: una fusione di registrazioni dal vivo, suoni antichi, ambienti sonori spigolosi. L’uso del suono è un amplificatore emotivo e ritmico, e trasforma la visione in un’esperienza immersiva, instabile, sorprendente.

Rimane il fatto che The Testament of Ann Lee non è per tutti, ma per coloro che hanno lo sguardo allenato alla visione di opere impegnative che non si pongono l’obiettivo di intrattenere e basta. Il film è un’opera di massa ritrovata, spoglia, fisicamente intensa, un musical che non canta per rallegrare, ma per evocare il sacro, il sacrificio e l’estasi. Una sfida per lo spettatore chiamato a vedere il cinema come rito, non solo racconto.