Figli di Troia, il monologo esilarante di Paolo Cevoli che riscrive l’Eneide tra porchetta e migranti | Al Teatro Manzoni di Milano
Dal 20 al 22 maggio, Cevoli porta in scena una rivisitazione epica e comica delle nostre radici italiane
Un viaggio millenario attraversa i secoli e approda sul palcoscenico con la verve inconfondibile di Paolo Cevoli. Dal 20 al 22 maggio alle ore 20:45, l’attore e comico romagnolo presenta Figli di Troia, un monologo irriverente e travolgente che mescola mito classico, attualità e memoria personale. Scritto e diretto dallo stesso Cevoli, lo spettacolo è un affresco comico dell’identità italiana, visto attraverso la lente dell’Eneide… condita però da panini alla porchetta.
Protagonista del racconto è Enea, l’eroe sconfitto che fugge da una città in fiamme portando con sé le radici del suo popolo: il padre Anchise sulle spalle, il figlio Ascanio per mano e gli dèi dell’anima in tasca. Ma nel racconto di Cevoli, la solennità virgiliana si colora di ironia, di aneddoti improbabili e paragoni esilaranti: da Colombo a Cappuccetto Rosso, fino al padre Luciano emigrato in Australia, tutti diventano parte di un’epopea contemporanea che parte da Troia e finisce… a fare picnic lungo il Tevere.
Cevoli si muove con disinvoltura tra passato e presente, tra epica e quotidianità, come un cantastorie moderno che scherza sul senso dell’identità, dell’origine e della famiglia. La sua comicità, mai banale, è fatta di immagini vivide, personaggi genuini e trovate linguistiche che trasformano l’epos latino in uno spettacolo per tutti, colto e popolare allo stesso tempo.
Un’Eneide tutta italiana: tra radici e risate
La chiave di lettura scelta da Cevoli è chiara fin dal titolo: se i romani volevano vantare una discendenza nobile, tanto valeva inventarsela con stile. Ed è proprio questo il cuore del monologo: il bisogno di appartenere, di sapere da dove si viene, di raccontare le proprie origini anche se piene di contraddizioni. Con la sua ironia affettuosa, Cevoli mostra come ogni grande viaggio – da Troia a Ravenna, da Cartagine a Riccione – sia in fondo il racconto di una famiglia, di una fatica, di una speranza.
L’Enea di Cevoli non è un eroe di marmo, ma un uomo che potremmo incontrare al bar, con la giacca unta e la battuta pronta. E proprio in questa umanizzazione sta la forza dello spettacolo: rende accessibile il mito, lo attualizza, lo avvicina a chi ascolta. Così, tra focacce, suocere invadenti e vichinghi sbronzi, emerge un’identità italiana fatta di improvvisazione, di cuore e di fame di futuro.
Un racconto epico che parla di noi
Figli di Troia non è solo una riscrittura comica della storia, ma un modo per interrogare la nostra epoca attraverso il filtro dell’umorismo. Le migrazioni, le radici, l’appartenenza: Cevoli affronta temi profondi con leggerezza, senza mai cadere nel moralismo. Racconta un’epopea fatta di fughe e arrivi, di sacrifici e ripartenze, con l’occhio lucido di chi ha vissuto i racconti della nonna ma anche le contraddizioni del presente.
E poi c’è il cibo, elemento centrale della narrazione, metafora potente dell’identità. Dal picnic finale con panini alla porchetta al simbolo della scrofa che allatta, tutto ha un gusto preciso, tutto è memoria viva. Il pubblico ride, ma riflette. E mentre Cevoli salta da Virgilio a Luciano, da Enea a Cappuccetto Rosso, si compone un mosaico tragicomico che racconta l’Italia meglio di molti saggi.
Con Figli di Troia, Paolo Cevoli firma uno dei suoi spettacoli più riusciti: intelligente, brillante, colto ma accessibile, divertente ma denso di significato. Un’occasione imperdibile per riscoprire le nostre radici con il sorriso sulle labbra e magari anche un po’ di porchetta nel cuore.