Father di Tereza Nvotová, un dramma intimo che esplora colpa, memoria e fragilità paterna

Father_Otec_-_fortementein.com

Presentato a Venezia, il film slovacco racconta un rapporto spezzato e la difficoltà di ereditare un passato doloroso.

Con Father (Otec), la regista slovacca Tereza Nvotová porta sullo schermo un racconto che si muove tra intimità familiare e riflessione storica. Dopo aver firmato documentari di forte impegno politico e opere di finzione dal taglio coraggioso, la cineasta affronta uno dei temi più universali e complessi: il legame tra un padre e un figlio, visto attraverso il prisma della memoria e della colpa.

Il film, presentato al Festival di Venezia 2025, si distingue subito per l’approccio personale e introspettivo. Nvotová attinge a suggestioni autobiografiche e a frammenti della storia del suo Paese, creando un intreccio in cui la vicenda privata diventa lo specchio di una comunità intera. Il padre del titolo non è soltanto un genitore fragile e inadeguato, ma anche la personificazione di un’intera generazione che ha attraversato dittature, traumi e trasformazioni epocali senza mai trovare un equilibrio definitivo.

La narrazione si sviluppa attraverso gli occhi del figlio, costretto a confrontarsi con un genitore che appare distante e indecifrabile. La scoperta di un segreto familiare, rimasto a lungo nascosto, diventa il motore della vicenda e il punto di partenza per una riflessione più ampia sulla possibilità di liberarsi da un’eredità dolorosa.

La regista sceglie una messa in scena essenziale e austera, in cui gli spazi chiusi e le atmosfere sospese sembrano riflettere l’incapacità dei personaggi di comunicare davvero. È un cinema che lavora sul silenzio, sulle pause, sugli sguardi mancati, più che sulle parole.

Il rapporto padre-figlio come specchio di un trauma collettivo

Uno degli elementi più riusciti di Father è la capacità di Nvotová di trasformare una vicenda familiare in un’allegoria universale. Il padre, con il suo bagaglio di errori e fragilità, incarna le contraddizioni di una società che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il proprio passato.

La regista non giudica, ma osserva con sguardo empatico. Il film non si limita a descrivere la distanza tra le due generazioni, ma mette in scena anche la difficoltà del figlio di emanciparsi da un legame che pesa come un macigno. In questo senso, Father si colloca in quella tradizione del cinema dell’Est europeo che, partendo dall’intimo, arriva a raccontare i grandi nodi della storia.

Father_Otec_-_fortementein.com

Pregi e limiti di un’opera rigorosa

Sul piano estetico, la regia privilegia uno stile asciutto, fatto di inquadrature statiche e colori desaturati. Una scelta che amplifica la sensazione di incomunicabilità, ma che a tratti rischia di appesantire il ritmo, rendendo la visione più cerebrale che emotiva.

Tuttavia, quando la macchina da presa si concentra sui volti e sui gesti minimi, il film raggiunge momenti di rara intensità. È proprio in quei dettagli che emerge la fragilità del padre e il dolore del figlio, in un gioco di riflessi che lascia intravedere la possibilità di un fragile riscatto.

Father è, in definitiva, un’opera che si muove sul filo tra rigore e lirismo. Non sempre riesce a mantenere costante il livello emotivo, ma colpisce per la sincerità con cui affronta un tema universale, trasformando il privato in un atto politico e poetico. Un film che lascia lo spettatore con più domande che risposte, ma che proprio per questo continua a risuonare a lungo dopo la visione.