The Smashing Machine, in concorso un’altra storia sul cadere e rialzarsi a Venezia 82

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Dwayne Johnson è Mark Kerr, ex lottatore di arti marziali miste, raccontato in una fase di declino della sua carriera, tra la seconda metà degli anni Novanta e i primi del Duemila.

The Smashing Machine, diretto da Benny Safdie, è un biopic drammatico che mette in luce, con delicatezza e intensità, i conflitti interiori di un atleta in crisi, tra conflitti sentimentali, dipendenza da oppiacei e aspettative alte. Il protagonista è Mark Kerr, un gigante del ring trasformato in figura vulnerabile. In questo caso Dwayne Johnson veste i panni di un personaggio fragile, abbandonando la sua consueta iconografia da eroe granitico per immergersi in un ruolo fortemente umano, mostrando lacrime, introspezione e fragilità.

La sua metamorfosi fisica—supportata da trucco elaborato e un’interpretazione intensa—trasmette l’idea che anche i più forti possono mostrare le proprie ferite. Siamo di fronte a un’altra storia che vuole raccontare il fallimento e il concetto del cadere e riuscire a rialzarsi. Non è la prima storia di questo tipo al Festival che si sofferma su questo tipo di dolore.

Safdie, al suo debutto come regista solista, costruisce un racconto visivo caratterizzato da un forte realismo: immagini girate anche in stile “documentaristico – televisivo”, con una fotografia che vuole riprendere il look anni Novanta, luci sobrie e movimenti di camera che non indulgono nel glamour, ma seguono il dolore e la grazia di Kerr.

Lo sport come pretesto per raccontare l’uomo più che l’atleta

Questo approccio riflette perfettamente la cosiddetta “empatia radicale” di cui parlano gli autori: non solo uno sguardo sul corpo dell’atleta, ma un tuffo negli abissi della sua psiche. Emily Blunt, interpreta Dawn Staples, compagna di Kerr e affianca Johnson con una performance intensa e misurata capace di stare al pari del comprimario se non una spanna sopra. Il personaggio di Dawn è infatti assai complesso e anche se inserito in sordina rispetto al protagonista è non di meno presente e incisivo nella storia. Grazie poi all’interpretazione di Blunt diventa perfetto.

Lei è l’amore ma è anche il sacrificio, quello di una donna che ha dovuto sopportare gioie e dolori, ascesa e declino accanto a un atleta come Kerr. Insieme i due costruiscono un rapporto tormentato tra amore e dipendenza, capace di dare alla storia spessore ed equilibrio. Ancora una volta non siamo di fronte alla glorificazione dello sport e dell’atleta, bensì all’umanizzazione dello stesso.

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Il ring come metafora universale

The Smashing Machine non è soltanto il racconto di una carriera sportiva interrotta o di un talento piegato dalle dipendenze. È la parabola di un uomo che si ritrova schiacciato dal peso delle aspettative e che deve imparare a sopravvivere a se stesso prima ancora che agli avversari. Safdie firma un’opera che parla al pubblico ben oltre la platea degli appassionati di sport: è un film che mette a nudo le fragilità e le contraddizioni di chiunque si sia trovato, almeno una volta, a combattere fuori dal ring.

Il risultato è un film di grande impatto emotivo, in cui la regia sobria e incisiva amplifica l’intensità delle interpretazioni. Dwayne Johnson si dimostra all’altezza del ruolo (forse anche per il fatto di aver egli stesso iniziato la carriera come wrestler) per autenticità e misura, regalando la performance forse più importante della sua carriera che potrebbe regalargli anche dei premi. Emily Blunt si conferma interprete versatile e capace di portare in scena sfumature profonde. The Smashing Machine non cerca la retorica della vittoria, ma il silenzio dei fallimenti da cui può nascere una nuova consapevolezza del personaggio.