The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania commuove pubblico e critica

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The Voice of Hind Rajab è il thriller etico che ci mette di fronte alla brutalità della guerra e all’indifferenza del genere umano, schiacciato da protocolli, burocrazia ma soprattutto da interessi economici.

In concorso ufficiale a Venezia 82, The Voice of Hind Rajab è il film che ha commosso stampa e pubblico con la storia della vicenda reale avvenuta a Gaza nel gennaio 2024: la telefonata di una bambina al centro di coordinamento della Mezzaluna Rossa e il tentativo, ostacolato da regole, pericoli e burocrazia di inviarle un’ambulanza, in seguito all’attacco avvenuto alla sua famiglia mentre si trovavano tutti in auto ad una stazione di servizio.

Kaouther Ben Hania, regista del film, ha scelto di raccontare questa storia attraverso le telefonate e i dispositivi digitali usati dagli operatori di Mezzaluna Rossa: tutto avviene dentro la centrale operativa e qui viene l’astuzia della regista che ha deciso di inserire le vere registrazioni della telefonata tra Hind (la bambina) e gli operatori. L’effetto è devastante perché l’immaginario lo completa lo spettatore attraverso i suoni degli spari, la recitazione e il contesto politico.

L’azione si svolge tutto il tempo negli uffici della Mezzaluna Rossa e diventa una camera di risonanza morale. Attori palestinesi interpretano gli operatori, ma le loro voci si alternano a quelle autentiche – quella della bambina e dei soccorritori al telefono. Ben Hania orchestra tutti i materiali con una regia che punta ai dettagli, i volti, gli sguardi dei protagonisti, le loro pause e le lacrime mentre cercano di salvare la bambina superstite dell’attacco.

È una scelta di messa in scena che rovescia la retorica della “testimonianza” in una coreografia di schermi, cuffie, mappe e protocolli, dove l’azione è burocratica ma la suspense è assoluta, tanto che 90 minuti scorrono veloci mentre noi insieme ai protagonisti seguiamo la voce della bambina sperando che quest’ultima venga salvata.

Etica dello sguardo (e dell’ascolto) 

L’assenza di aperta rappresentazione della violenza è un atto politico: non c’è voyerismo né pornografia del dolore e per questo motivo è ancora tutto più intenso ed emozionante. Lo spettatore è obbligato a osservare nel dettaglio la fredda asimmetria di potere che si esprime nei codici, nei permessi, nelle “finestre” di intervento. Il fuori-campo, tutto ciò che non vediamo e che si svolge nel campo di battaglia, di fatto un campo di morte, diventa campo della coscienza, la nostra.

Guardando il film siamo messi di fronte alla brutalità dell’essere umano, guardiamo l’oscuro volto della guerra e della morte direttamente negli occhi e nel modo più atroce: la voce di una bambina intrappolata in un’auto abitata dai cadaveri dei parenti e a sua volta a un passo dalla morte. Qui Ben Hania prosegue, radicalizzandolo, il discorso sul confine tra reale e ricostruzione già esplorato in Four Daughters: l’ibridazione tra elementi documentaristici e recitazione diventa lo strumento più efficace per trasmettere allo spettatore certi messaggi. 

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Recitazione essenziale al servizio dell’autenticità

La recitazione degli interpreti (Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury e Amer Hlehel) è calibrata sull’ascolto, non sull’azione. Il design sonoro è un ulteriore protagonista del film: squilli, fruscii di linea, click dei software, messaggi radio… un tappeto sonoro che di fatto costruisce e alimenta l’azione. Il film evidentemente non si pone l’obiettivo di spiegare o insegnare alcunché, compie l’azione molto più importante di mostrare l’impotenza strutturale di chi prova a salvare vite in un regime di restrizioni e autorizzazioni che sfianca il soccorso con lo sfondo dell’orrendo genocidio di cui stiamo sentendo parlare da più di un anno e di fronte al quale l’impotenza è di tutti, anche di chi non è coinvolto direttamente.

Scegliendo la centrale della Mezzaluna Rossa come unico osservatorio, Ben Hania mette in scena la logistica del soccorso e la grammatica del ritardo, cioè il vero antagonista del film. La cronaca dei fatti è ampiamente documentata; qui conta come il cinema attivi una responsabilità percettiva, non un tribunale. Alla proiezione stampa, il film ha suscitato applausi prolungati e lacrime di molti che si sono commossi e altri sopraffatti dall’emozione che sono dovuti uscire. The Voice of Hind Rajab non è il tipo di opera che cerca il consenso; lo ottiene perché costringe a riascoltare, letteralmente, ciò che avremmo preferito non sentire. The Voice of Hind Rajab è il film necessario in questo periodo storico, il film d’impatto e probabilmente uno dei pochi in questa edizione della Mostra del Cinema a meritare il Leone d’Oro. Probabilmente si giocherà la vittoria con No other choice di Park Chan-wook.