Wayward: il finale spiegato della serie Netflix tra speranza e dolore

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La nuova serie Netflix firmata da Toni Collette scuote con un finale disturbante e carico di simboli. Ecco cosa significa davvero.

Ambientata nel 2003, Wayward trasporta gli spettatori nel mondo oscuro dell’industria delle “scuole rieducative” per adolescenti problematici. Abbie e Leila, due ragazze finite nei guai a scuola, vengono inghiottite da Tall Pines Academy, istituto che si presenta come terapeutico ma si rivela un vero incubo. Abusi psicologici, manipolazione e torture travestite da “cura” trasformano il campus in una prigione dell’anima. Sullo sfondo, il nuovo agente Alex cerca di indagare, diviso tra la sua coscienza e il passato della moglie Laura, anche lei sopravvissuta al sistema.

Il cuore del finale ruota attorno a una decisione: Abbie e Leila hanno la possibilità di scappare insieme, grazie all’aiuto di Alex. Ma mentre Abbie trova il coraggio di lasciare quell’inferno, Leila resta. Un gesto che spezza il cuore, ma che riflette la realtà della manipolazione psicologica: Leila, convinta di non avere un posto a cui tornare e logorata dalle tecniche di Evelyn (la glaciale direttrice interpretata da Toni Collette), interiorizza la convinzione che il suo unico valore stia nel sistema che la imprigiona.

Una delle linee narrative più inquietanti riguarda la presunta colpa di Leila per la morte della sorella. Ma si tratta di un falso ricordo, frutto delle terapie coercitive di Tall Pines, basate su pratiche screditate come la Recovered Memory Therapy. Qui la serie mostra tutta la crudeltà del gaslighting: convincere una vittima che il suo dolore dipenda da una colpa inesistente.

Il mistero di Laura e la scelta di Alex

Il finale non risparmia colpi nemmeno per gli adulti. Laura, segnata da un passato ambiguo e dal sospetto di aver ucciso i propri genitori, diventa di fatto la nuova leader della comunità. Alex, invece di portarla via, sceglie di restare a Tall Pines con lei e il loro bambino. Una decisione che lascia interdetti, ma che mostra quanto il bisogno di appartenenza possa spingere a restare persino in un ambiente tossico, nella speranza che quel “villaggio” possa spezzare il ciclo di violenza che ha segnato la sua vita.

Il famigerato “leap” – un mix di droghe psichedeliche, torture e waterboarding – diventa simbolo dell’annullamento identitario. Un processo di lavaggio del cervello che spezza i legami familiari e impone un’unica verità: quella di Evelyn. A rendere il quadro ancora più disturbante è la regola che vieta le nascite: Tall Pines vuole “creare” solo figli della setta, plasmati sin dall’inizio per non provare mai rabbia o dolore. Una distopia che si traveste da utopia comunitaria.

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Un finale sospeso tra luce e oscurità

Wayward si chiude con un paradosso. Abbie ce la fa: lascia Tall Pines, dimostrando che la resilienza è possibile. Ma Leila e Alex restano prigionieri, incapaci di liberarsi. La serie ci ricorda che uscire da una situazione abusiva non è mai semplice, e non avviene mai nei tempi che gli altri si aspettano.

La speranza sta nella possibilità, anche minima, che prima o poi ogni vittima trovi la forza di uscire dal proprio Tall Pines. Ma fino ad allora, la serie ci lascia con un’amara verità: non sempre tutti riescono a salvarsi.