Dossier 137 è il thriller politico che fa tremare la Francia: un’indagine interna svela violenze e ipocrisie

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Léa Drucker interpreta una poliziotta divisa tra giustizia e appartenenza: il caso che la riguarda da vicino

Una ferita aperta nella coscienza collettiva francese, un’indagine che smette presto di essere solo procedurale e diventa personale, morale, sociale. Dossier 137, il nuovo film di Dominik Moll presentato al Festival di Cannes 2025, è un thriller politico che si insinua nelle contraddizioni dello Stato e nelle crepe delle sue istituzioni più protette: le forze dell’ordine. Diretto con uno stile sobrio, teso e senza concessioni, il film colpisce per la sua capacità di restare dentro le regole del genere investigativo, mantenendo però uno sguardo critico e incandescente sul presente.

La protagonista è Stéphanie, un’ispettrice dell’IGPN – l’organismo interno che controlla la polizia francese. Quando un manifestante dei gilet gialli rimane gravemente ferito alla testa da un proiettile di gomma durante una protesta, viene aperto un fascicolo: il dossier 137. Ma ciò che inizia come un’indagine “di routine”, destinata all’archiviazione, diventa per Stéphanie un percorso sempre più scomodo. La vittima è del suo stesso paese natale, e il legame silenzioso che si crea tra lei e la comunità sconvolge il suo senso del dovere.

L’orrore è nelle regole

Il film non sceglie la via del melodramma, né dell’enfasi politica: segue piuttosto il metodo del racconto giudiziario, restando fedele ai tempi dell’inchiesta, ai silenzi delle carte, alle difficoltà di ottenere testimonianze sincere. Non ci sono eroi. Stéphanie, interpretata da una misurata e straordinaria Léa Drucker, è un personaggio a metà: tra lealtà al corpo di polizia e desiderio di verità. È razionale, ma qualcosa in lei si incrina. E quella frattura – tra ciò che si vede nei filmati di sorveglianza e ciò che viene “dimenticato” nei verbali – è lo spazio in cui il film prende vita.

Dominik Moll osserva con rispetto ma senza pietà. Mostra come la violenza istituzionalizzata non sia fatta solo di gesti brutali, ma anche di coperture, omertà, oblio. E lo fa senza mai alzare la voce, costruendo tensione attraverso i dettagli: un’esitazione, uno sguardo abbassato, una stretta di mano che sa già di colpa.

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Un Paese che interroga se stesso

Dossier 137 non racconta solo un caso specifico, ma interroga un intero sistema. Ambientato nel post-2018, durante le proteste dei gilet gialli, il film parla del rapporto tra Stato e cittadini, tra centro e periferia, tra legalità e giustizia. La forza del racconto sta nel suo doppio movimento: da un lato, la ricerca della responsabilità per un singolo atto di violenza; dall’altro, la scoperta lenta e implacabile di quanto tutto sia sistemico, strutturale, previsto e protetto.

Lo spettatore assiste a un thriller, ma si ritrova dentro un processo morale. Stéphanie rappresenta la nostra incertezza, la fatica di restare fedeli a se stessi quando le strutture attorno si chiudono come una gabbia.

Il film, distribuito in Italia da Movies Inspired, è uno dei titoli più discussi della stagione d’autore. Con uno stile che ricorda Il caso Spotlight e La notte del 12, Dossier 137 è un esempio raro di cinema che riesce a essere politico senza essere ideologico, coinvolgente senza essere spettacolare, e profondamente umano pur restando rigoroso.

Una visione necessaria. Per capire, per ricordare, e per continuare a fare domande. Anche quando nessuno vuole più rispondere.