Il maestro di Andrea Di Stefano fuori concorso a Venezia 82: il tennis che ci insegna il fallimento
Andrea Di Stefano decide di raccontare anche l’altra faccia della medaglia nel mondo del tennis: il fallimento, e lo fa con una coppia di attori che funziona.
Raul (Pierfrancesco Favino) è il maestro del titolo, un ex campione di tennis con problemi psichici e di depressione cronica che per tornare alla vita decide di allenare una giovane promessa del tennis Felice (Tiziano Menichelli). Il bambino si trova in un momento cruciale della sua formazione, fino a questo momento ha sempre giocato nei tornei regionali, ma ora può partecipare a quelli nazionali e per farlo non può più allenarsi con suo padre, deve farlo con un professionista.
Il padre di Felice dal canto suo incarna perfettamente le pressioni dei genitori sui figli, Giovanni Ludeno veste i panni di un ingegnere con la passione per il tennis (probabilmente voleva egli stesso diventare tennista) e riversa sul figlio la speranza di raggiungere i tornei internazionali. Nelle dinamiche relazionali tra padre e figlio o tra maestro e allievo si scorge perfettamente il dolore del piccolo Felice che forse preferirebbe passare l’estate a giocare e fare il bagno, ma non vuole ferire suo padre e quindi si adegua alla scelta di intraprendere il tour.
Inizia coì questo road movie italiano che nelle atmosfere dell’estate di fine anni Ottanta e nel rapporto tra i due protagonisti ricorda in particolare due film in cui l’auto e due personaggi in viaggio sono alla base della storia. Si tratta di Il sorpasso (1962) e Profumo di donna (1974) entrami di Dino Risi.
In questi film, e così anche in quello di Di Stefano, lo schema dei personaggi è più o meno fisso, abbiamo una figura dominante e con esperienza di vita, ma sostanzialmente un fallito e una figura più giovane e più timida, incapace di rilassarsi e darsi al bello della vita. Ma lo slancio vitale del personaggio di Raul è in realtà un bluff perché scopriamo poco alla volta il passato che lo tormenta. Si prova in ogni caso nostalgia, per un certo periodo storico, per un certo tipo di film e per una certa estate italiana.
Tra un set e l’altro, si gioca la vita
Inizialmente, come da manuale, il rapporto tra Raul e Felice è determinato da incomprensioni e attriti e per la prima volta Felice impara che nello sport, come la vita, non si vince sempre e non solo con la forza. Insomma Felice affronta il primo grande dolore che lo avvicina sempre di più alla persona adulta che sarà, comprendendo che se si è avuto un sogno per la vita e questo non realizza, non deve però condizionare tutta l’esistenza della persona.
Nel frattempo che il giovane Felice scopre tutte queste piccole cose, Raul, d’altro canto, ritrova nel ragazzo un senso nuovo per le sue giornate, fino a costruire con lui un legame saldo e inatteso, qualcosa di vincente rispetto al contesto del film.
Una regia autentica e sentimenti veri
Andrea Di Stefano dirige con equilibrio, alternando momenti di tensione sportiva ad attimi di sincera dolcezza: fragilità e complicità si intrecciano senza mai cadere nel cliché. Le atmosfere estive, la fotografia che evoca la costa italiana, i costumi e la scenografia—curati rispettivamente da Mariano Tufano e Carmine Guarino—trasportano lo spettatore nell’estate italiana anni ottanta, tra alberghi affacciati sul mare, campi assolati e la leggerezza tipica di un tempo che non torna più
Favino e Menichelli sono un duo che funziona, il primo dà vita al suo Raul con quella delicatezza che lo caratterizza quando si trova a interpretare personaggi fragili. Accanto a lui, il giovane Tiziano Menichelli è timido, concentrato, sommerso dalle aspettative di chi lo circonda, ma capace di risplendere, con gesti sinceri, in un crescendo emotivo che ti prende al cuore.
“Il Maestro” non è solo una storia sportiva: è un viaggio nella crescita, nella fiducia, nel valore dei legami imperfetti. Ogni sconfitta diventa insegnamento, ogni vittoria consolida un rapporto. È un’ode a quelle persone che sanno cadere e rialzarsi, a chi sceglie di credere in qualcuno altro, donando così un senso nuovo anche a se stesso.