Girl (Nühai) in concorso a Venezia 82 è un film delicato e commovente sui rapporti familiari
Siamo a Taiwan nel 1988 con una famiglia composta da padre, madre e due bambine e nella quale regna il terrore perché il padre si ubriaca ogni giorno ed è violento con la moglie e le figlie. Una delle due, la protagonista, in particolare è terrorizzata al punto da fare gli incubi sul padre.
Girl è la risposta cinese al film di Vittorio De Sica, I bambini ci guardano, in cui i problemi tra i genitori e il dramma familiare di un padre alcolizzato, ricadono sulla vita dei figli. Rispetto al suo precedente italiano cambia il dramma di base, ma non concetto già espresso da De Sica, secondo il quale i figli guardano quello che fanno e dicono i genitori, anche se questi ultimi credono di non essere visti. Quindi, insegnava De Sica, è bene fare attenzione a ciò che si fa per procurare un dolore ai figli.
E proprio di dolore si parla in Girl, quello della ragazza appunto che ha troppa paura del padre ma allo stesso tempo un rapporto conflittuale con la madre che non si decide a lasciare il marito. Il film è un coming-of-age che porta il peso di un passato familiare senza apparente risoluzione e in cui tutto ricade sulle spalle di una ragazzina delle medie che non sa come uscirne.
Hsiao-lee è una ragazzina ritirata, intrappolata nella freddezza emotiva della sua casa. L’incontro con Li-li (compagna di scuola vivace, solare, libera) la riporta alla vita diventando catalizzatore di desideri sopiti e un modo per guardare altrove. E mentre il cuore della protagonista si apre al nuovo, riaffiorano le ombre del passato della madre, intrecciandosi con la sua identità in un nodo che è tanto generazionale quanto personale.
Il film è costruito secondo un’estetica che riflette il trauma della protagonista, sfociando quindi in immagini frutto della fantasia della ragazza, che aspira solo alla libertà. Shu Qi, alla sua prima regia dopo una carriera trentennale come attrice, mostra una sensibilità rara. L’influenza di Hou Hsiao-hsien, suo mentore, è evidente nei nei dettagli, nell’attenzione al visibile e all’indicibile.
Un film ben costruito, oltre che emozionante
La fotografia di Yu Jing-Pin e il montaggio di William Chang trasformano ogni elemento del film in una delicata poesia, malgrado la materia fortemente drammatica, mentre la colonna sonora di Lim Giong accompagna senza mai sopraffare, lasciando che a parlare siano gli spazi e i corpi. Accanto alla protagonista, le interpretazioni di Roy Chiu e della cantautrice 9m88 aggiungono sfumature di autenticità a un racconto che sa essere intimo e universale.
Girl è un debutto che non urla, ma resta. Racconta con delicatezza il trauma dell’infanzia e la possibilità di riscatto, facendo emergere la forza silenziosa di chi, anche nella paura, trova la strada per immaginare un futuro diverso.
Al pubblico l’ardua sentenza
In questo senso, Girl non è solo il racconto di un dolore privato, ma anche una riflessione più ampia sulla memoria familiare e sulla capacità, o incapacità, di spezzare una catena di violenza che si ripete di generazione in generazione. Shu Qi non concede facili soluzioni: lascia che a parlare siano i silenzi, i gesti sospesi, i vuoti che abitano le relazioni tra genitori e figli, offrendo allo spettatore l’esperienza di una ferita che non si chiude ma che, proprio perché mostrata, trova la possibilità di essere condivisa.
Il risultato è un’opera che segna con decisione la nascita di una nuova voce autoriale nel panorama del cinema asiatico contemporaneo. Girl emoziona senza e scava nella fragilità con uno sguardo limpido e restituisce dignità a chi troppo spesso resta invisibile: i bambini. Un film che ti resta addosso e che, come i ricordi più dolorosi, torna a farsi vivo anche a distanza di tempo.