Siccità di Paolo Virzì, conseguenze dei danni climatici accumulati nel tempo. Fuori concorso a Venezia 79. Recensione

Siccità di Virzì racconta fin dal titolo le conseguenze dei danni climatici accumulati nel tempo e che hanno portato alla carenza di risorse, ma lo fa circoscrivendo la storia alla sola città di Roma che si trova ad affrontare appunto un grave problema di siccità e il principio di un’epidemia.  

Sicuramente la sinossi di Siccità rimanda a qualcosa di molto familiare che stiamo vivendo nel nostro contemporaneo, un presente che non è più il futuro distopico di cui si parlava anni fa perché ci siamo già arrivati e ci siamo dentro fino al collo e questa più o meno è l’atmosfera che si respira nell’ultimo film di Paolo Virzì, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema e che si presenta come un ulteriore monito affinché preserviamo il futuro per le nuove generazioni.

Il covid dal 2020 in qua ha di fatto diviso il tempo fra un prima e un dopo, come quando si contavano gli anni in relazione alla nascita di Cristo, solo che in questo caso a. C. e d.C. si riverisce al virus che ha condizionato la nostra vita negli ultimi tre anni.

Ebbene in relazione a questa misura di tempo in Siccità non sappiamo se ci troviamo in un’epoca ante covid o post covid ma di sicuro la realtà che ci raccontano non è per niente distopica.

Veniamo, infatti, da un’estate che è stata definita la più “fredda” che avremo mai, ciò vuol dire che la siccità fa già parte della nostra vita.

Virzì prende, dunque spunto da questioni climatiche reali e usa questo pretesto narrativo per raccontare l’intreccio di più storie, come aveva già ne Il capitale umano. I protagonisti sono persone comuni con problemi comuni e le loro vite parallele sono legate da un filo rosso che li unisce.

In questo film sostanzialmente vediamo gli stessi problemi e gli stessi personaggi che abbiamo visto nella filmografia di Virzì per anni, solo che questa volta sono calati in un contesto semi apocalittico con una Roma prosciugata e inaridita e con il Tevere secco.

Si raziona l’acqua e si convive con le blatte, le quali proliferano in grande quantità e diffondono una malattia infettiva che porta sonnolenza e fa morire le persone.

I problemi di Siccità

Purtroppo Siccità di Paolo Virzì non mi ha convinta del tutto perché l’ho trovato un film inconcludente in cui tutte le trame aperte all’inizio non sembrano avere un senso preciso. Non è una questione di chiusura, o di finale se vogliamo, perché il finale di un film può essere aperto ma piuttosto la domanda che mi faccio in relazione a questi personaggi è: quanto me ne importa alla fine delle loro vicende?

Di fatto non sono riuscita a legarmi a nessuno di loro perché le storie, gli estratti delle loro esistenze mi sono parsi un mordi e fuggi, bocconcini di storie di cui alla fine mi mancavano i pezzi per potermi avvicinare davvero a loro.

A Roma non piove da tre anni e nella città eterna che sembra volgere al suo tramonto, abbiamo una dottoressa, Sara (Claudia Pandolfi) che individua l’epidemia e si prodiga per i pazienti. Lei molto presto si troverà faccia a faccia con il proprio passato amoroso e con la sua vittima, il ragazzo che ha messo sotto con la macchina e che non si è lasciato soccorrere.

Sara ha una figlia, Martina (Emma Fasano) che suona in un’orchestra ed è innamorata di un giovane ventenne immigrato.

Martina è figlia di Loris (Valerio Mastandrea), ex autista di auto blu ora semplice autista di Uber, separato da Sara e piuttosto fallito. Loris accusa sonnolenza da alcuni giorni ma non è consapevole di avere contratto il virus che gira in questo periodo.

C’è poi Antonio (Silvio Orlando) che sta in carcere da venticinque anni e che non vuole più andarsene perché come il pianista sull’oceano non trova ragione di esistere oltre quei confini.

Alfredo (Tommaso Ragno) influencer di una certa età che sfiora il patetico e non guarda al di là del proprio tablet, tanto da non accorgersi che sua moglie Mila si scrive con un vecchio compagno di liceo, Luca (Vinicio Marchioni).

Ci sono altri personaggi ancora, un Andrea Renzi per esempio che interpreta il fantasma del Presidente, e ancora un Max Tortora nei panni di Jacolucci, un ex imprenditore oggi barbone.

Insomma tanta carne a cuocere e poca soddisfazione nel gustarla perché a mio avviso si poteva togliere qualcosa e, chi scrive, è sempre stata una sostenitrice di Paolo Virzì, ma purtroppo questo film è meno riuscito rispetto ai precedenti e data la mole di spunti e personaggi avrebbe avuto più senso, forse, farci una serie Tv.