
Stefano Sollima presenta in concorso a Venezia 80 Adagio, la solita storia criminale (con Sollima difficile uscire da certi argomenti) senza però lo smalto di Romanzo criminale e A.C.A.B.
Stefano Sollima presenta in concorso a Venezia 80 Adagio, la solita storia criminale (con Sollima difficile uscire da certi argomenti) senza però lo smalto di Romanzo criminale e A.C.A.B.
Stefano Sollima completa la sua trilogia della criminalità con Adagio dove Toni Servillo, Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino sono tre della banda della Magliana “in pensione”. Anni dopo questi criminali conducono esistenze misere, ai margini della società ma pressoché tranquille. Roma è la città che conosciamo oggi ma è una Roma in fiamme, preda di un incendio, come ne capitano tanti in estate, ma che non sembra accennare a smettere.
Con il fuoco sullo sfondo si consuma così una piccola storia criminale nella quale gli ex della Magliana si trovano coinvolti loro malgrado, a causa del figlio di uno di loro e si trovano alle prese con dei carabinieri corrotti più spietati dei criminali stessi.
Manuel è un sedicenne che si prende cura del padre anziano, quest’ultimo non sa che il figlio è vittima di un ricatto, è stato visto mentre “faceva marchette” e se non esegue gli ordini che gli vengono dati, andare in discoteca e scattare certe foto a un politico, il video che lo ritrae mentre pratica del sesso orale a un uomo per soldi verrà mostrato a suo padre.
Il ragazzo cerca di sottrarsi scappando dalla discoteca e venendo meno al suo patto, diventando così un testimone da eliminare. Ben presto Manuel diventa la miccia che innesca una reazione a catena di omicidi e ricatti da parte di spietati carabinieri corrotti, forse anche più crudeli della banda della Magliana. Due componenti proprio di quella famosa banda, amici del padre gli daranno una mano.
Il problema principale di Adagio è la sceneggiatura, superficiale e con diversi buchi di trama. Per esempio non sappiamo per quale motivo i carabinieri ricattano proprio Manuel e non un qualsiasi altro sedicenne, se il motivo è il fatto di essere figlio di un criminale e se vi sono conti in sospeso, questa cosa non ci viene mai spiegata. Come pure il fatto che l’incendio è un evento sullo sfondo che di fatto non è determinante ai fini della storia. Il pretesto della catastrofe naturale lo abbiamo visto già un anno fa con Siccità di Paolo Virzì, ma in quel caso l’evento interagisce continuamente con i personaggi e soprattutto porta avanti la storia.
Sollima si è ormai specializzato nel genere criminale, ma l’impressione è che in questo caso abbia riciclato del materiale vecchio semplicemente per realizzare il terzo capitolo della sua trilogia e per girare un film con i suoi attori feticcio alcuni anni dopo Romanzo criminale.
In questo film non c’è nessun personaggio positivo o che abbia una parvenza di lealtà, sono tutti brutti sporchi e cattivi, eccezion fatta per Valerio Mastandrea (Paul Newman) che però compare per poche scene e il personaggio di Pierfrancesco Favino (Cammello). Proprio quest’ultimo è scritto meglio perché il suo è un arco di trasformazione reale. Cammello è in fin di vita a causa di un cancro, dorme su una brandina a casa con la moglie dalla quale è separato, i due alcuni anni prima hanno perso un figlio proprio per colpa di Daytona (Toni Servillo).
Malgrado il rancore che porta nei confronti del suo ex compagno, Cammello si affeziona a suo modo al giovane Manuel, forse rivedendo in lui suo figlio. Eccetto, dunque, questo esempio “virtuoso” tutti gli altri sono personaggi spietati, sadici o codardi che non si redimono in alcun modo. Il personaggio di Toni Servillo, Daytona, soffre di demenza senile e quando rinsavisce per pochi minuti prova a salvare il figlio ma solo per una questione di onore criminale, prima di cacciarlo di casa.