In the Hand of Dante, fuori concorso a Venezia 82 è un trip davvero trash che ha divertito tutti

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La storia grottesca di uno scrittore che intercetta il manoscritto autografo della Commedia di Dante Alighieri è quanto di più trash e divertente sia passato dalle sale della Mostra del Cinema di Venezia 2025 

Poteva il nuovo film di Julian Schnabel essere normale? Non sarebbe stato Schnabel. In the Hand of Dante è un delirio visionario che non si sarebbe mai potuto prevedere. La commedia incontra il genere gangster in una folle avventura che sfida la storia. Julian Schnabel dirige la trasposizione dell’omonimo romanzo di Nick Tosches, nel quale l’autore si immaginava protagonista di un’avventura legata al manoscritto originale della Divina Commedia e si metteva egli stesso come protagonista nella storia.

Nel film vediamo come dalla caccia al reperto intrapresa per volontà di un malavitoso collezionista, sfocia poi nel fantastico quando Tosches capisce di essere la reincarnazione di Dante e che la donna che ama (Gal Gadot) è la reincarnazione della moglie del poeta, Gemma Donati. Oscar Isaac oscilla tra le anime di uno scrittore e quelle di un poeta, li fa coesistere. Con lui, oltre Gal Gadot, vediamo Gerard Butler, Al Pacino, John Malkovich e perfino Martin Scorsese nei panni di Isaia. Il film percorre due storie parallele, quella di Dante, dell’esilio da Firenze e della scrittura della sua opera e quella dello scrittore sulle tracce del manoscritto originale del poeta.

Già dalle premesse, e poi nella visione, il film si presenta come un’orgia di generi e registri diversi in cui non semplice seguire la storia, neanche dal punto di vista visivo considerato che le parti nel presente (nella storia siamo tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila) sono in bianco e nero e quelle ambientate nel periodo in cui Dante stava scrivendo la sua opera, sono a colori. Ci sono voluti quindici anni per produrre questo film e, in effetti, si vede dal risultato finale che presenta alcune sbavature.

Il film nasce come un atto creativo collettivo, in cui anche gli attori sono parte dell’affresco. La forma segue il delirio: come si è detto troviamo l’alternanza di sequenze a colori e sequenze in bianco e nero—un uso che non è solo estetico, ma un segno della tensione interiore tra passato e presente. Durante la visione è inevitabile ridere del grottesco che caratterizza non solo la storia in generale ma anche alcune caricature di certi personaggi. Per esempio quando lo scrittore americano arriva in Italia e assistiamo a non pochi stereotipi sull’italiano mafioso.

Un film che va preso per quello che è

Se ci si aspetta la serietà o la coerenza da un film come questo allora si è fuori strada. Il film va preso per quello che è, un viaggio folle e assurdo che fa a cazzotti con la logica e la storia. Alla fine In the Hand of Dante è un film sbilenco, a tratti irritante eppure capace di intrattenere e distrarre, insomma, non si prende troppo sul serio. Schnabel non si preoccupa mai di essere misurato: preferisce annegare lo spettatore in un caos controllato, fatto di visioni, digressioni e accostamenti surreali.

C’è chi lo giudicherà un pasticcio, chi un capolavoro mancato, ma nessuno potrà dire di essere rimasto indifferente. In questo senso il film si inserisce perfettamente nella cornice veneziana: è un’opera fuori concorso che non ambisce a premi quanto a lasciare un segno, far parlare di sé, fosse anche solo un ricordo bizzarro di questa edizione della Mostra. In the Hand of Dante è un’esperienza da vivere più che un racconto da seguire, un delirio in cui il sublime e il trash si abbracciano fino a confondersi.

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Un’opera anarchica

Nonostante le imperfezioni, Schnabel riesce a costruire un film sregolato, rumoroso, ridondante, ma anche sorprendentemente sincero. Lontano dall’essere didascalico o accademico, In the Hand of Dante usa il mito del poeta come pretesto per parlare di ossessioni, desiderio di immortalità e fragilità creativa. E proprio in questo continuo oscillare tra il serio e il parodico trova la sua forza.

È difficile immaginare come il pubblico internazionale accoglierà questo non meglio definibile film e probabilmente non sarà mai distribuito ma questo è il bello della Mostra del Cinema di Venezia, poter vedere anche film lontani dalla distribuzione di film cotti e mangiati. A Venezia, la reazione è stata quella di un divertimento collettivo, con risate e applausi. Forse non resterà come uno dei titoli memorabili del regista, ma segna comunque un atto di coraggio artistico: quello di portare sullo schermo un romanzo ritenuto “impossibile” da adattare e di farlo senza compromessi, abbracciando fino in fondo la propria follia visionaria.