It: Welcome to Derry, il prequel di Stephen King che scava nel male nascosto dell’America anni Sessanta

Welcome_to_Derry_-_fortementein.com

La serie ambientata nel 1962 riporta a Derry, la città maledetta di It, in una nuova visione disturbante e visivamente potente.

C’è una nebbia che non si dirada mai sopra Derry. In It: Welcome to Derry, il male assume nuove forme ma conserva la stessa, antica fame. La serie ideata da Andy e Barbara Muschietti insieme a Jason Fuchs nasce come prequel dei film diretti da Muschietti, ma si emancipa dal formato cinematografico per esplorare un periodo diverso, quello degli anni Sessanta, quando tutto era ordine apparente e segreti sepolti.

Il racconto non si limita a evocare il clown assassino, ma costruisce un mosaico corale di personaggi, colpe e traumi collettivi. La Derry del 1962 è una cittadina americana intrappolata tra bigottismo, paura e alienazione, dove l’orrore non è mai solo soprannaturale ma sociale.

La serie si apre con un’assenza: un ragazzino scomparso, un gruppo di adolescenti che lo cerca e un silenzio che pesa come una minaccia. Nei canali sotterranei e nelle sale cinematografiche, l’incubo inizia a prendere forma. Derry è ancora una volta la vera protagonista, con i suoi tunnel, le sue luci spente, le sue colpe condivise.

Il prequel abbandona la spettacolarità dei film per privilegiare la tensione lenta, insinuante, più vicina alla paura psicologica che al jumpscare. I registi scelgono di rappresentare il male come un contagio morale: una forza invisibile che si insinua nelle famiglie, nella religione, nella politica. È qui che la serie trova il suo ritmo più inquietante, trasformando la provincia americana in una metafora dell’ipocrisia collettiva.

Tra realismo e incubo, l’orrore prende corpo

L’impianto visivo è uno dei punti di forza della produzione: ambienti ricostruiti con cura filologica, fotografia cupa, tonalità desaturate che evocano un’America sospesa tra innocenza e rovina. La regia dosa il sangue e la violenza per costruire un senso costante di minaccia. Alcune sequenze — come quelle nelle fogne o nelle visioni notturne — colpiscono per l’equilibrio tra realismo e incubo.

Eppure, nonostante l’impatto visivo e la tensione atmosferica, la serie inciampa in una certa dispersione narrativa. Troppe sottotrame, troppi piani aperti: l’orrore militare, il trauma sociale, la discriminazione razziale, l’origine di Pennywise. Tutto affascinante, ma non sempre ben bilanciato. Ciò che funziona davvero è la costruzione del contesto e la sua capacità di suggerire che il mostro, prima ancora di apparire, è già ovunque.

Welcome_to_Derry_-_fortementein.com

Un viaggio nel buio che lascia il segno

It: Welcome to Derry non è la trasposizione perfetta, ma è un’esperienza. Scompone l’universo di Stephen King per ricomporlo in chiave televisiva, più lenta, più opprimente, più psicologica. Non punta solo alla paura, ma alla riflessione: cosa rende un luogo maledetto? Forse, semplicemente, l’indifferenza di chi lo abita.

Pur con qualche debolezza nella coesione narrativa, la serie riesce a evocare il terrore primordiale del mondo di King, restituendo allo spettatore la sensazione di trovarsi esattamente dove tutto è cominciato: in quella Derry che non smette mai di inghiottire chi osa guardarla troppo a lungo.