Il vedovo, Massimo Ghini conquista il Manzoni con un omaggio elegante, feroce e irresistibilmente attuale

Un teatro gremito, un silenzio carico di attesa e poi la risata che esplode: così è iniziata ieri sera la prima milanese de Il vedovo, lo spettacolo diretto e interpretato da Massimo Ghini, in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 23 novembre.
Tratto dal capolavoro di Dino Risi del 1959, il testo rivive sul palco in un adattamento firmato da Ennio Coltorti e Gianni Clementi che restituisce la forza corrosiva della commedia all’italiana, attualizzandola senza mai snaturarla.
Ghini veste i panni di Alberto Nardi, imprenditore megalomane e inconcludente, figura che fu di Alberto Sordi, e ne costruisce una versione personale, meno caricaturale ma più sottile, più vera. Il suo Nardi non è soltanto il “cretinetti” umiliato dalla moglie ricca e spregiudicata — interpretata con straordinaria precisione da Galatea Ranzi — ma diventa il simbolo di un’Italia che ancora oggi si dibatte tra ambizione, furbizia e mediocrità.
La regia, asciutta e calibrata, privilegia i ritmi comici senza rinunciare alle sfumature drammatiche. Ghini orchestra il tutto con mano ferma, alternando leggerezza e cattiveria con la sicurezza di chi conosce perfettamente il materiale che maneggia. Le scene firmate da Luigi Ferrigno, i costumi di Paola Romani e le musiche originali di Davide Cavuti contribuiscono a creare un affresco elegante e coerente, dove il bianco e nero ideale del film di Risi sembra trasformarsi in colori densi e teatrali.
Accanto a Ghini, Galatea Ranzi dà vita a una Elvira potente, fredda, modernissima. La sua è una donna che non si limita a incarnare la moglie borghese e dominante, ma diventa emblema di un potere nuovo, lucido e spietato. Tra i due si consuma un duello scenico brillante, pieno di tempi perfetti e di sguardi che valgono più di molte battute.
La Ranzi domina la scena con naturalezza e un’ironia sottile, quasi chirurgica, che bilancia la fisicità più esplosiva di Ghini. Insieme, costruiscono un rapporto che è insieme guerra, danza e riflesso dell’eterna battaglia tra i sessi, tra chi vuole possedere e chi si rifiuta di appartenere.
Una commedia che parla anche di noi
L’adattamento di Clementi e Coltorti sposta l’azione in una Roma contemporanea, tra affari falliti, debiti e illusioni di grandezza, rendendo Il vedovo una storia sorprendentemente attuale. L’avidità, l’apparenza, la finta meritocrazia: tutto risuona con forza nel presente.
I personaggi che circondano Nardi – interpretati da Pier Luigi Misasi, Leonardo Ghini, Giulia Piermarini, Diego Sebastian Misasi, Tony Rucco e Luca Scapparone – diventano un coro di vizi italiani, un piccolo campionario di servilismi e ingenuità che strappano risate amare.
Non c’è nostalgia in questo spettacolo, ma lucidità. Ghini non imita Sordi: lo cita, lo rispetta, e poi lo supera, restituendo al personaggio una dimensione più umana, meno farsesca e più inquietante.

Il sorriso amaro della commedia all’italiana
Applausi lunghi e convinti hanno salutato una prima che ha saputo restituire al pubblico il senso autentico della commedia di Risi: far ridere mentre mostra il peggio di noi. Il vedovo di Ghini è uno spettacolo che diverte e punge, che rilegge un classico senza tradirlo, portandolo in scena con intelligenza, misura e grande gusto.
Nel suo equilibrio tra cinismo e malinconia, tra gag e verità, il teatro trova ancora una volta la sua forza più grande: quella di parlare dell’oggi con le parole di ieri. E ieri sera, al Manzoni, Il vedovo lo ha fatto con classe e con cuore.
