Moby Dick alla prova, un inedito Orson Welles al Bellini di Napoli | Recensione

È in scena dal 7 al 12 febbraio al Teatro Bellini di Napoli Moby Dick alla prova, dal testo di Orson Welles inedito in Italia e diretto per l’occasione da Elio De Capitani in coproduzione fra il Teatro dell’Elfo e il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.  

Moby Dick alla prova è un testo che Orson Welles scrisse, diresse e interpretò (come spesso del resto gli capitava di fare con le sue opere. Diciamolo, il nome di Orson Welles è un marchio di garanzia e lo sarebbe anche sulla lista della spesa, figuriamoci poi se la sua genialità viene applicata a un testo come Moby Dick, romanzo di Herman Melville, tra i capisaldi della letteratura e di certo tra i romanzi più complessi, con molteplici livelli di interpretazione.

Innanzitutto diciamo subito che la mole di Moby Dick è stata ridotta a due ore e venti minuti di spettacolo che scorrono meravigliosamente e ci accompagnano sapientemente nella storia, permettendoci di comprenderla a pieno, anche per coloro che non hanno mai letto il libro. Questo non è un dettaglio da poco se pensiamo ai testi che circolano oggi, della durata di un’ora appena ma percepita di almeno due ore.

Moby Dick alla prova è uno spettacolo molto visivo, immaginifico, con una scenografia intelligente composta da elementi versatili e dinamici, pochi ma sufficienti suggerire un intero mondo. Tre scale rappresentano a seconda dell’occorrenza gli alberi della baleniera o il pulpito di una chiesa, un telo bianco rappresenta ora le vele dell’imbarcazione ora il capodoglio tanto bramato dal capitano Achab.

Una serie di tavoli in metallo con le ruote, una poltrona girevole e alcuni sgabelli diventano elementi di scena, di metateatro in questo caso, utili a ricostruire gli interni e gli esterni della baleniera, ma anche l’ipotetica sala prove dove la compagnia sta provando appunto l’opera di Melville.

Elio De Capitani è in scena e interpreta Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale, proprio come fece Welles, perché all’inizio la compagnia sarebbe reduce dalla prova del Re Lear, ma poi il capocomico decide di mettere in scena il capolavoro di Melville.

Di quando in quando si torna “in prova” e gli attori ritornano se stessi per spiegare alcuni passaggi intermedi. Insieme a Capitani in scena troviamo Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana e Vincenzo Zampa.

L’eccellente interpretazione del cast viene accompagnata dalla musica dal vivo di Mario Arcari e la voce di Francesca Breschi che riprende le suggestive canzoni degli sea shanties, i tipici canti dei marinai che contribuiscono a creare l’atmosfera sull’enorme fondale, profondo e leggero, cangiante e mutevole, che descrive l’immensità dell’oceano e il capodoglio, mai visibile ma sempre presente, il vero protagonista della storia.

La particolarità di questo testo è che Orson Welles nel 1955 lo mise in scena scegliendo di non mostrare nulla, a palco vuoto, per lasciare allo spettatore la facoltà di immaginare tutto, proprio come suggeriva Shakespeare di fare per le parti incomplete di un testo, lì dove il pubblico avrebbe riscontrato dei vuoti.

Già il genio di Welles tese, infatti, un filo rosso fra la tragedia di Re Lear e Moby Dick riuscendo nell’impresa ritenuta impossibile di mettere in scena l’opera di Melville. Ma cosa c’entrano fra di loro le due opere, almeno in apparenza, così diverse?

Re Lear paga per la sua ostinazione e per essere stato cieco, la sua follia è un po’ simile a quella del capitato Achab che accecato dall’ossessione di catturare il capodoglio e di vendicarsi per la mutilazione subita da un precedente incontro, non si rende conto di trascendere e portare nella sua follia tutto l’equipaggio.

Moby Dick: l’uomo contro la natura

La storia è nota il Pequod e tutto il suo equipaggio, Achab compreso, moriranno eccetto Ishmael, il narratore destinato a raccontare questa storia. Tra le altre cose si racconta di un delirio di onnipotenza, il tipico esempio dell’uomo che sfida la natura credendo di uscirne vincente, lo stesso uomo che crede di poter fare quello che vuole senza subire delle conseguenze, un uomo per certi versi molto simile a quello contemporaneo, già uscito sconfitto dalla natura con la pandemia.

In un certo senso è proprio da qui che De Capitani prende spunto, dalla recente pandemia, per raccontare un gruppo di persone isolate e che si ritrovano ad affrontare la natura tra follia estrema e razionalità.

Moby Dick è una storia analoga ai poemi epici come l’Iliade dove i personaggi si dividevano fra i più belligeranti che sostenevano la guerra a ogni costo e i più razionali che la guerra avrebbero preferito evitarla e per buone ragioni. Ne sono un classico esempio Ettore e Achille, tanto umano il primo quanto divino il secondo, uno programmato per la famiglia e il lavoro, l’altro una macchina da guerra vicina al divino.

Achab nel suo delirio trascende dall’umano al punto da parlare di sé in terza persona e non si fermerà fino all’inevitabile morte. Il suo slancio vitale lo porterà all’estremo, ma lo spingerà anche molto più vicino alla verità. Come Re Lear, Achab capisce come stanno le cose e si redime a un passo dalla morte, l’errore fatale e la cecità che allontanano l’uomo dalla razionalità.

La differenza tra Achab e gli uomini di oggi è che lui resta un personaggio mitico, uno dei più complessi e profondi mai scritti, è letteratura, ma nella realtà, all’indomani di una pandemia, con il surriscaldamento globale in atto e la crisi economica vi sono molti Achab in giro, caratterizzati dalla stessa follia ma decisamente con meno spessore letterario che per inseguire il loro Moby Dick perdono la prospettiva.

La visione di Moby Dick alla prova è un sogno che ci culla in un mondo lontano ma allo stesso tempo molto prossimo, seguire gli attori in questo viaggio è facilissimo e vederli indossare la maschera e poi toglierla, in un sapiente esercizio di metateatro, è come far parte della compagnia.

Moby Dick alla prova
di Orson Welles

adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
uno spettacolo di Elio De Capitani
traduzione Cristina Viti

con
Elio De Capitani – Capocomico / Lear / Ahab / Padre Mapple
Angelo Di Genio – Attor giovane / Ishmael
Giulia Viana – Attrice giovane / Cordelia / Pip
Cristina Crippa – Direttore di scena / cambusiere
Marco Bonadei – Attore serio / Kent / Starbuck / Queequeg
Alessandro Lussiana – Attore cinico / Elijah / Tashtego
Enzo Curcurù – Attore di mezza età / Stubb / Daggoo / voce dello Scapolo
Massimo Somaglino – Attore veterano / Peleg / voce della Rachele
Vincenzo Zampa – Attore con il giornale / Carpentiere / vedetta
Michele Costabile – Attore / Flask / vedetta
Mario Arcari – Direttore d’orchesta

costumi Ferdinando Bruni
musiche Mario Arcari
direzione del coro Francesca Breschi
luci Michele Ceglia
suono Giuseppe Marzoli
maschere Marco Bonadei
assistente alla regia Alessandro Frigerio
assistente costumi Elena Rossi
assistente scene Roberta Monopoli
capo macchinista Giancarlo Centola
macchinista Tommaso Serra
elettricista Giacomo Marettelli Priorelli
fonico Gianfranco Turco
sarta Ortensia Mazzei
stagisti Ilaria Altieri (regia), Flora Pirovano, Alice Spadoni e Mariolina Sciacca (scenografia), Alessia Lattanzio, Giulia Leali (sartoria)

foto di scena Marcella Foccardi
grafica plumdesign
una coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
lo spettacolo ha debuttato al Teatro Elfo Puccini di Milano l’11 gennaio 2022