The Souffleur, Willem Dafoe protagonista di un labirinto teatrale tra identità e illusione

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Presentato a Venezia, il film fonde cinema e palcoscenico in un esperimento audace che affascina ma divide.

Con The Souffleur, presentato in anteprima mondiale al Festival di Venezia 2025, il regista Benoît Jacquot porta sul grande schermo un’opera che mette al centro il teatro come luogo di metamorfosi, ossessione e ricerca di senso. A guidare lo spettatore in questo universo stratificato è un magnetico Willem Dafoe, capace di incarnare con intensità un personaggio sospeso tra realtà e finzione.

Il titolo, che in francese indica il suggeritore teatrale, diventa la chiave di un racconto che si interroga sul ruolo dell’artista, sulla fragilità dell’identità e sul confine sottile tra vita e rappresentazione. Dafoe veste i panni di un attore consumato, che si ritrova progressivamente intrappolato in un vortice di ricordi, ruoli e fantasmi personali. Il risultato è un film che mescola dramma esistenziale e riflessione metacinematografica, con una forma che oscilla costantemente tra cinema e teatro.

Jacquot non si limita a raccontare una storia, ma costruisce un’esperienza sensoriale, fatta di luci soffuse, scenografie teatrali che diventano spazi filmici e dialoghi che sembrano usciti da un copione più che da una conversazione reale. Lo spettatore si ritrova così immerso in un gioco di specchi che destabilizza e affascina.

Willem Dafoe e la forza della performance

Il fulcro di The Souffleur è indiscutibilmente l’interpretazione di Willem Dafoe. L’attore americano, che negli ultimi anni ha alternato blockbuster hollywoodiani a progetti d’autore, conferma qui la sua straordinaria versatilità. Con il volto scavato e lo sguardo febbrile, restituisce un personaggio fragile e potente al tempo stesso, oscillando tra momenti di grande pathos e improvvisi scarti ironici.

La sua prova diventa il collante di un film che altrimenti rischierebbe di disperdersi tra le sue molteplici ambizioni. Dafoe incarna il dilemma dell’artista che vive prigioniero del palcoscenico, incapace di distinguere se stesso dai ruoli che interpreta, mentre le linee tra memoria personale e finzione teatrale si dissolvono progressivamente.

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Un film affascinante ma non per tutti

Dal punto di vista stilistico, Jacquot sperimenta con coraggio: alterna lunghe inquadrature fisse a movimenti di macchina improvvisi, usa il buio e il silenzio come elementi narrativi, e costruisce la colonna sonora con frammenti musicali che sembrano provenire direttamente dal backstage di un teatro. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, che avvolge lo spettatore ma che può risultare anche ostica.

Il limite principale del film sta infatti nella sua natura fortemente autoriale: The Souffleur non cerca di essere accessibile, ma pretende attenzione e disponibilità a lasciarsi condurre in un viaggio che è più mentale che narrativo. Per alcuni sarà un’esperienza ipnotica, per altri un esercizio di stile che rischia di apparire autoreferenziale.

The Souffleur si conferma come un’opera ambiziosa, che sfrutta il talento di Willem Dafoe per esplorare le zone più oscure e affascinanti dell’identità artistica. Non è un film che punta al grande pubblico, ma una riflessione intensa sul rapporto tra uomo, ruolo e memoria. Un labirinto teatrale che, pur con i suoi limiti, riesce a lasciare un segno profondo in chi è disposto a farsi coinvolgere dal suo linguaggio audace.