L’isola di Andrea, il ritorno poetico di Antonio Capuano tra memoria, arte e ricerca di sé

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Un film intimo e personale, dove la maturità del regista incontra la freschezza di un nuovo sguardo generazionale.

Con L’isola di Andrea, presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2025, Antonio Capuano torna dietro la macchina da presa a 85 anni, firmando un’opera che è al tempo stesso un testamento artistico e un inno alla vitalità del cinema. Dopo una carriera segnata da film coraggiosi e anticonvenzionali, il regista napoletano costruisce un racconto sospeso tra autobiografia e finzione, che mette al centro il rapporto tra un maestro e un giovane, tra chi ha vissuto il passato e chi si affaccia al futuro.

Il film ha i contorni di un’opera confessionale, ma evita i toni nostalgici. Capuano guarda al proprio percorso con lucidità e ironia, costruendo una storia che parla di identità, eredità culturale e desiderio di trasmettere la passione per il cinema. L’isola evocata dal titolo diventa metafora di un luogo interiore, dove ricordi, desideri e ossessioni si incontrano in un continuo dialogo con la realtà.

Tra memoria e invenzione narrativa

L’isola di Andrea non si limita a raccontare un singolo personaggio, ma diventa un mosaico di voci e sensazioni. Al centro c’è Andrea, interpretato con naturalezza da un giovane esordiente che porta sullo schermo freschezza e spontaneità. Intorno a lui si muovono figure adulte, tra cui spiccano le interpretazioni di Teresa Saponangelo e Vinicio Marchioni, capaci di dare corpo e profondità a personaggi che riflettono le tensioni e i contrasti della vita reale.

Capuano intreccia autobiografia e invenzione, oscillando tra momenti di leggerezza e passaggi più meditativi. Non tutto è immediatamente lineare, ma proprio questa frammentarietà diventa cifra stilistica: l’isola non è mai uno spazio fisico, ma un luogo emotivo in cui convivono illusioni e rimpianti. La regia, con i suoi tempi dilatati e le immagini ricche di dettagli, invita lo spettatore a lasciarsi trasportare in un viaggio contemplativo.

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Un film che parla di cinema e di vita

Come spesso accade nelle opere di Capuano, il cinema diventa specchio e strumento di indagine. L’isola di Andrea è attraversato da riflessioni sul senso stesso di fare arte, sulla responsabilità di chi racconta storie e sulla necessità di trovare un linguaggio che non tradisca la verità dell’esperienza.

Non mancano momenti grotteschi e surreali, che alleggeriscono la tensione e sottolineano l’ironia di un autore che non ha mai avuto paura di osare. Ma il cuore del film resta la relazione tra le generazioni: un passaggio di testimone che non è mai semplice, perché comporta anche il confronto con ciò che non si è riusciti a realizzare.

L’isola di Andrea è un’opera intensa, personale e volutamente imperfetta. Non tutti i passaggi convincono per ritmo e coerenza narrativa, ma la forza emotiva del racconto e la sincerità dello sguardo di Capuano lasciano un segno profondo. È un film che parla del bisogno di restare fedeli a sé stessi e alla propria arte, anche quando il tempo sembra esigere compromessi. Un atto d’amore verso il cinema e verso la vita, che conferma Antonio Capuano come uno degli autori più liberi e coraggiosi del panorama italiano.