“Lacci”, il drammatico film di Daniele Lucchetti si sviluppa tra urla e silenzi | Recensione

“Lacci”, l’ultimo film diretto dal regista italiano Daniele Lucchetti, mette in scena una famiglia incompiuta e racconta di un matrimonio ormai finito da tempo analizzandone le contraddizioni con tenerezza ed audacia. Tuttavia, il lungometraggio sembra più urlare un tormento che mostrarlo agli spettatori, peccando, forse, di essere parzialmente didascalico. 

Il regista italiano Daniele Lucchetti nel 2020 ha ripreso la collaborazione con lo scrittore Domenico Starnone dopo la direzione dello spettacolo teatrale “Sottobanco” e la regia del film “La scuola” del 1995 tratto proprio dalla pièce in questione.

“Lacci”, selezionato come film d’apertura della 77ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica è scritto grazie ad una collaborazione tra Lucchetti, Starnone e lo sceneggiatore Francesco Piccoli i quali danno vita ad un prodotto certamente profondo ed emozionante ma che talvolta pare dichiarare la sofferenza più che lasciare che questa trasparisca dai suoi personaggi.

In effetti, il cinema ha questa incredibile possibilità grazie ai suoi strumenti divisi tra scrittura, montaggio e fotografia di mettere in mostra sentimenti, inclinazioni e stati d’animo senza doverli necessariamente spiegare, come avviene per altre “opere d’ingegno”. Ed è per questo, come accade in molti film tratti da romanzi, che in “Lacci” una volta trasposto il libro in prodotto audiovisivo, le sottigliezze e le particolarità della fonte originale si perdono sfortunatamente a causa di alcune scelte stilistiche, di visione e racconto fatte dal regista.

In qualche modo, quindi, la bravura degli attori così come alcune inquadrature interessanti si confondono nella generica narrazione, un po’ approssimativa la quale sembra mirare a trattare un tipo di sofferenza piuttosto che a farla catarticamente sperimentare al suo pubblico.

Tra passato e presente: il dolore perpetuo del film di Lucchetti

Ambientato nella Napoli anni ’80, “Lacci” racconta il matrimonio tra Aldo e Vanda in crisi da quando l’uomo ha iniziato una relazione extraconiugale con la collega più giovane Lidia. Si tratta di una famiglia all’apparenza perfetta, quella dei due protagonisti, insieme ai loro figli Anna e Sandro ma la cui serenità viene interrotta una sera dalla rivelazione del tradimento da parte di Aldo nei confronti di sua moglie Vanda.

Aldo, speaker radiofonico abbastanza anticonvenzionale, decide di lasciare Vanda per vivere un amore fresco, passionale anche se a tratti infantile ma che per certi versi riesce a colmare quel desiderio di libertà fermato bruscamente dal matrimonio e da tutte le convezioni sociali che ne conseguono.

Tra Aldo e Vanda, tuttavia, si instaura un pericoloso gioco intimidatorio dove la donna dapprima sconvolta caccia via Aldo spingendolo dalla sua amante a Roma ma in un secondo momento se ne pente invitando proprio suo marito a tener fede al vincolo familiare. Ed è così che, per Aldo, Vanda e io loro figli piccoli comincia un periodo di autodistruzione in cui l’affetto diventa distacco, la compassione si trasforma in disprezzo e il malessere in depressione acuta.

Tutti i nodi di una famiglia interrotta vengono ora al pettine con il subentro dell’amante Lidia: una sorta di pretesto per Aldo per scappare da ciò che per anni lo ha tenuto inesorabilmente ingabbiato impedendogli di essere realmente sé stesso.

A pagarne le spese Anna e Sandro, i quali sono costretti nel punto più delicato di questa vicenda, ad assistere all’esaurimento nervoso della madre che aggredisce, in preda alla rabbia e allo sconforto, suo marito e l’amante Lidia. Lo smacco finale per i due bambini è, per giunta, la presa di coscienza che proprio il papà Aldo ha acconsentito all’affido esclusivo di Vanda rinunciando almeno parzialmente ad assistere alla loro crescita. Fino a dove, però, si spinge il rancore verso chi un tempo abbiamo amato?

Vanda, così, forse stanca di provare dolore o forse per una mera richiesta d’aiuto e di attenzione si getta dalla finestra, tentando il suicidio. Un punto di non ritorno pare, quindi, essere stato raggiunto almeno fino a quando dopo anni accade l’impensabile. Preso dai sensi di colpa per aver abbandonato la famiglia, nel tempo Aldo prenderà una decisione che cambierà le sorti dei quattro protagonisti: l’uomo torna a casa e decide di vivere la vita che non avrebbe voluto ma lo fa spinto da quasi inevitabili contingenze esterne.

Il risultato di questa scelta è, però, forse ancora più letale del tradimento in sé e chi nel corso degli anni si troverà a tormentarsi maggiormente saranno Anna e Sandro. Nell’età adulta, infatti, i due ripensano al passato con cinismo e distacco ma ben presto raggiungono la consapevolezza di essere stati vittime di una famiglia “sbagliata” la quale anche nel suo ricongiungimento ha perpetrato silenzi, rabbia repressa e incomprensioni mai chiarite.

Aldo e Vanda, ai giorni nostri, sono una coppia che rimane insieme fino alla vecchiaia per mera comodità e noia ma Aldo ancora conserva il ricordo di quell’amante che forse ha amato per davvero mentre continua a tradire sua moglie, divenuta una vuota sagoma della giovane donna di un tempo.

Sandro e Anna, ora maturi, si ritrovano insieme nella casa dei genitori per nutrire il gatto mentre Aldo e Vanda sono impegnati in una vacanza ed insieme danno vita ad un viaggio nei ricordi del passato: un percorso personale sì doloroso sì ma inevitabile per riuscire a venire a patti con la rabbia inespressa che appartiene atavicamente ad entrambi i figli.

La metafora dei Lacci ed il racconto strozzato di Lucchetti

La narrazione nel film “Lacci” non è quindi lineare ma alterna momenti al tempo presente con flashback abbastanza espliciti. Ad ogni modo, il racconto si fa talvolta un po’ frettoloso e riduttivo mentre la tristezza e lo sconforto dei protagonisti si percepiscono solo a tratti rifuggendo da un’analisi autentica dei loro pensieri. 

Così, Lucchetti pare non indagare nel dolore preferendo una specie di coesione e coerenza narrativa bene aderente alla scrittura originale ma che manca un po’ di pregnanza emotiva. Tuttavia, di notevole bellezza l’interpretazione degli attori e nello specifico di Alba Rohrwacher che ancora una volta si dimostra, per merito di una recitazione ora sintetica ora esplicita, una delle migliori attrici del panorama cinematografica italiano ed internazionale.

La storia familiare, comunque, si rivela un ottimo soggetto per film in grado di smuovere emozioni, ricordi e paure del pubblico soprattutto se portata in scena egregiamente come fatto da Lucchetti, nonostante le imperfezioni già citate. Mentre si osserva il corso del film quindi pare inevitabile empatizzare con l’avvilimento dei figli sopravvissuti infelicemente a due genitori incapaci di preservarli e di amarli come forse avrebbero voluto.

Essere genitori, intanto, non è mai un compito semplice e farlo quando già di per sé si è persone irrisolte, come Aldo e Vanda, è ancora più difficile. D’altronde, però, proprio loro anche nella loro incompiutezza ed imperfezione si palesano al mondo come profondamente umani.

“Lacci” è un film, quindi, imperfetto ma tenuto insieme da alcune spinte innovative ed un velo di commozione. In egual modo quei lacci che il papà Aldo era solito stringere nella sua quotidianità e su cui l’occhio attendo di Anna si posava ogni qual volta voleva sentirsi vicina al padre, legano i figli ai genitori.

Ma i lacci nel lungometraggio di Lucchetti e nel libro di Domenico Starnone sono anche il temibile mezzo attraverso il quale Aldo e Vanda hanno fatto leva per ferirsi a vicenda negli anni e allo stesso tempo, lo strumento a causa del quale sono rimasti uniti, tra silenzi e urla, imprigionati in una gabbia fittizia d’amore.