Il mago del Cremlino, Jude Law e Olivier Assayas raccontano il potere russo tra mito e manipolazione

Presentato in concorso a Venezia, il film tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli divide tra fascino estetico e rischio di semplificazione.
Con Il mago del Cremlino, adattamento del romanzo di Giuliano da Empoli, il regista Olivier Assayas porta al Festival di Venezia 2025 una delle opere più discusse della competizione. Protagonista assoluto è Jude Law, nei panni di Vladimir Putin, accompagnato da un cast che include Paul Dano e Tom Sturridge, in un racconto che mescola realtà, invenzione e suggestioni letterarie per esplorare i meccanismi del potere russo contemporaneo.
La pellicola si concentra sulla figura di un “mago” della comunicazione politica, ispirato allo spin doctor reale di Putin, e mette in scena l’ascesa del leader russo dagli anni Novanta fino al consolidamento al Cremlino. Non un biopic tradizionale, ma un affresco che oscilla tra thriller politico e parabola tragica, con toni che spesso sfiorano la dimensione del mito.
Assayas sceglie una narrazione frammentata, costruita su dialoghi taglienti e sequenze che alternano ambienti claustrofobici a visioni più ampie del panorama politico internazionale. L’obiettivo è quello di mostrare non solo l’uomo al potere, ma il sistema che lo ha reso possibile: una macchina di illusioni, compromessi e manipolazioni.
Il risultato è un film che cattura per ambizione, ma che non sempre riesce a mantenere l’equilibrio tra introspezione e spettacolo. La fascinazione per la figura di Putin, pur non diventando mai celebrazione, rischia talvolta di smorzare l’impatto critico che il materiale di partenza suggeriva.
Jude Law magnetico, ma il film resta diviso
L’interpretazione di Jude Law è senza dubbio il punto di forza del film. L’attore britannico offre un ritratto glaciale e ipnotico, in cui i silenzi valgono più delle parole. La sua presenza scenica restituisce l’immagine di un leader che esercita il potere non solo attraverso le decisioni, ma soprattutto tramite il controllo del linguaggio e dell’immaginario.
Accanto a lui, Paul Dano porta in scena il volto dello spin doctor, un personaggio a metà tra burattinaio e vittima del proprio ingegno. È attraverso il suo sguardo che lo spettatore entra nel cuore del Cremlino, in un viaggio che svela quanto fragile e pericoloso possa essere il confine tra manipolazione e verità.
Tra cinema politico e allegoria
Assayas non firma un film storico nel senso stretto del termine, ma una riflessione sul potere che dialoga con la tradizione del cinema europeo. Le atmosfere ricordano a tratti i lavori di Costa-Gavras, mentre l’approccio visivo conserva la raffinatezza tipica del regista francese. Tuttavia, l’abbondanza di riferimenti politici rischia di rendere la narrazione a tratti troppo didascalica, sacrificando l’emozione in favore del discorso intellettuale.
Il film funziona quando si concentra sulle dinamiche intime, sui momenti in cui il potere si manifesta come rapporto umano distorto, fatto di ricatti, ambizioni e paure. Meno efficace, invece, quando tenta di condensare l’intera storia recente della Russia in un mosaico di eventi che finiscono per scivolare via troppo velocemente.
Il mago del Cremlino rimane comunque uno dei titoli più importanti di questa edizione veneziana: un’opera ambiziosa, che prova a trasformare la cronaca politica in allegoria universale. Non priva di limiti, ma capace di accendere il dibattito, soprattutto grazie all’interpretazione magnetica di Jude Law e al coraggio di Assayas nel confrontarsi con un tema di scottante attualità.