Un film fatto per bene, Franco Maresco firma un’opera corrosiva che smaschera ipocrisie e illusioni italiane
Tra sarcasmo e amarezza, il regista palermitano torna con un film che mette a nudo i vizi di un Paese immobile.
Quando si parla di Franco Maresco, è impossibile non aspettarsi uno sguardo graffiante, capace di oscillare tra ironia dissacrante e amarezza civile. Con Un film fatto per bene, presentato in concorso a Venezia, il regista siciliano conferma la sua cifra stilistica: raccontare l’Italia con un sarcasmo che diverte e inquieta allo stesso tempo.
Il titolo è già una dichiarazione programmatica, paradossale e ironica. Perché quello che Maresco porta sullo schermo è tutt’altro che “fatto per bene”: è un’Italia che inciampa, che si compiace dei propri difetti, che sembra incapace di un vero cambiamento. In questo senso, l’autore resta fedele alla sua visione da cronista disincantato e caustico, che non addolcisce nulla e non risparmia nessuno.
Lo stile è quello inconfondibile del regista: immagini che alternano rigore e improvvisazione, dialoghi che oscillano tra il grottesco e il documentaristico, personaggi che sembrano usciti da una commedia nera ma che in realtà rappresentano frammenti autentici di un Paese reale.
Il ritratto amaro di un’Italia senza riscatto
Maresco non cerca consolazioni. L’Italia che mette in scena è un Paese fermo, dove la memoria collettiva si è assopita e il presente scivola via tra indifferenza e cinismo. Nei suoi personaggi si riflette una collettività che ha perso il senso della responsabilità, aggrappata più al folklore che alla consapevolezza.
Quello che emerge è un affresco dove convivono la farsa e la tragedia, l’assurdo e il quotidiano. Ogni sequenza sembra sottolineare la distanza tra l’idea di un’Italia che “vorrebbe” essere diversa e la realtà di un Paese che continua a ripetere gli stessi errori. Maresco riesce a trasformare questa contraddizione in linguaggio cinematografico, in una riflessione aspra e pungente.
Pregi e limiti di uno sguardo radicale
Non è un film che si lascia avvicinare facilmente. Lo spettatore è costretto a confrontarsi con un linguaggio che rifiuta le convenzioni del racconto tradizionale, preferendo la frammentazione e l’uso di materiali eterogenei. Questo approccio, tipico del cinema di Maresco, garantisce autenticità e radicalità, ma rischia anche di tenere a distanza chi non è disposto a lasciarsi provocare.
Eppure, proprio in questa scomodità sta la forza dell’opera. Un film fatto per bene non vuole compiacere, ma scuotere. Non propone risposte, ma domande. Non offre un finale rassicurante, ma lascia lo spettatore con il peso delle proprie contraddizioni.
Con Un film fatto per bene, Franco Maresco consegna un altro tassello della sua filmografia scomoda e necessaria. Un cinema che non teme di apparire impopolare, perché la sua missione è quella di rivelare ciò che resta spesso taciuto: l’incapacità di un Paese di guardarsi davvero allo specchio. È un film che divide, che provoca, ma che conferma la vitalità di un autore che da decenni continua a raccontare l’Italia senza veli, costringendoci a interrogarci su chi siamo e su chi stiamo diventando.