Sveliamo i falsi miti relativi ai comportamenti sostenibili

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Sveliamo i falsi miti o i “false friend” relativi ai comportamenti sostenibili, “green” e “sostenibilità” sono ormai sulla bocca di tutti da risultare addirittura termini un po’ troppo abusati, anche ingiustamente. Arrivati a questo punto, tutti dovremmo saperlo: essere “green” significa adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente allo scopo di non sprecarne le risorse. Questo si traduce nel contribuire alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, nel non sprecare energia elettrica e acqua, nel prediligere prodotti meno inquinanti, riutilizzare e riciclare oggetti in disuso.

Ma siamo certi che le scelte che riteniamo più “amiche del nostro Pianeta”, lo siano davvero?
Refurbed, l’azienda che ha fatto del rispetto ambientale la propria ragione di esistere, creando una tra le piattaforme più conosciute di vendita di prodotti elettronici rigenerati, scioglie alcuni dubbi su alcuni falsi miti relativi ai comportamenti sostenibili.

  1. Io scelgo solo km zero. Per considerare un alimento sostenibile occorre prendere in considerazione molteplici variabili, perché il trasporto rappresenta solo uno dei fattori di inquinamento del ciclo produttivo. Non sempre materie prime coltivate a meno di 250 km di distanza dal punto di consumo hanno un impatto ambientale inferiore rispetto a quelle che arrivano da lontano. È importante considerare tutto il processo di produzione: non è detto infatti che il pomodoro pachino coltivato nelle serre dietro casa sia meno inquinante di uno di importazione.
  2. Ghettizzare i cibi industriali. Sono proprio gli stabilimenti più grandi ad avere la possibilità di investire in innovazione e quindi ridurre i consumi di energia e acqua, rendendo più sostenibili i processi di raccolta, lavaggio e cottura. L’industria alimentare, infatti, produce cibo in condizioni di efficienza energetica superiori a quelle della nostra cucina di casa: quindi sì ad alimenti precotti, in scatola o essiccati. E per il packaging come la mettiamo? È sufficiente gestire i rifiuti in modo corretto: l’acciaio riciclato è molto richiesto!
  3. Meglio a mano. In media, per lavare i piatti facciamo scorrere l’acqua per circa 15 minuti, che si traduce in oltre 100 litri di acqua consumati. Mentre un lavaggio in lavastoviglie necessita in media 10/15 litri – che possono scendere fino a 7 litri, se l’apparecchio è di nuova generazione o il ciclo è breve. Senza contare il detersivo che viene sprecato.
  4. Meglio sfusi (gli ortaggi). Uno studio condotto da Bonduelle mostra che per lavare e disinfettare ogni confezione di insalata si utilizzano in media 2,5 litri di acqua. A quanto pare, molto meno di quello che si utilizza a casa propria: il 64% degli italiani, infatti, effettua 3 o più lavaggi per ogni cespo di insalata (dati Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie).
  5. Lo shopping? Io sintetico mai. Una maglietta in cotone non è detto che sia più green di una in poliestere. Infatti, il poliestere convenzionale è più sostenibile del cotone convenzionale: si tinge con facilità, la produzione necessita poca acqua, si lava a temperature basse e si asciuga subito. Per contro, il cotone grava molto sull’ambiente in termini di consumo di acqua, pesticidi e fertilizzanti. Se proprio dobbiamo scegliere tessuti naturali, meglio che siano riciclati. Così anche per i tessuti tecnici: prediligere il poliestere riciclato e senza PFC (perfluorocarburi).
  6. Ma tanto è Molti oggetti in “bioplastica” sono compostabili, ma con tempi decisamente più lunghi rispetto alla buccia di una banana. Inoltre, anche il processo di riciclo ha un costo non indifferente, sia in termini monetari che di impatto ambientale (come il trasporto). È quindi ben più importante ridurre la mole di rifiuti che produciamo, abolendo l’usa e getta, anche se è riciclabile.
  7. Dare nuova vita e riciclare oggetti in disuso: e no, questo non è certo un “false friend”, ma è una delle scelte più consapevoli che possiamo fare. I prodotti ricondizionati non finiscono nel processo di smaltimento e non si accumulano in discarica, ma rientrano sul mercato dopo essere stati ispezionati e riparati, entrando nel circuito dell’economia circolare. Un risparmio di ben 13.000 litri d’acqua e 79 Kg di CO2 per ogni smartphone di nuova generazione non prodotto. Ma non solo. Ci sono anche vantaggi in termini economici per i consumatori, che possono acquistare device rimessi a nuovo con un risparmio fino al 40% sul prezzo originale.