È stata la mano di Dio è la vera “grande bellezza” di Paolo Sorrentino

In concorso alla 78a edizione della Mostra del Cinema di Venezia, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino è la vera grande bellezza del regista premio Oscar. Si tratta del suo film più personale e autobiografico in una magica Napoli del 1984, al tempo in cui Maradona arrivò in città e regalò un sogno a tutta la città.

Fabio, noto come Fabietto (Filippo Scotti), vive nel capoluogo partenopeo. Il ragazzo avrà l’occasione di vivere uno dei sogni più grandi degli amanti del calcio, quando giunge nella sua città il goleador Diego Armando Maradona, ma a questa grande gioia si accompagnerà una tragedia inaspettata, che sconvolgerà la sua vita.
Ma il destino gioca brutti scherzi e Fabietto, avrà modo di imparare come, in questo caso, felicità e sconforto, gioia e tragedia siano intrecciate tra loro così tanto da determinare insieme il suo futuro…

È davvero difficile esprimere a parole le sconfinate emozioni che si provano con questo film. Si prova tutta la gamma di emozioni con la storia di Fabietto che è anche, in parte, quella del regista.
Innanzitutto si percepisce la magia della Napoli di quel periodo, una città che attraverso il calcio tentò di risollevarsi e forse in parte ci riuscì. Senza fare facile campanilismo, la prima emozione fortissima si prova sull’inquadratura iniziale di Napoli vista dal mare. Da quel punto di vista tutto è apparentemente calmo, facile, sereno e non si direbbe quante storie e quanto caos vi sono all’interno. Napoli vista dal mare è talmente bella da far sembrare tutto il mondo bello, eppure come diceva Filumena Marturano per bocca di Sophia Loren nel film Matrimonio all’italiana: “In tutti questi palazzi in città quanti drammi ci sono? Fra questi c’è un dramma piccolo come il nostro”.

E proprio in questa cartolina degli anni ottanta che si consuma l’iniziazione alla vita di Fabio, il suo dramma, che lo porterà ad un percorso di crescita e formazione.
Come un Moraldo traslato di circa trent’anni, anche Fabio sogna di fare qualcosa di grande, il Cinema, e i suoi occhi sono tutto stupore.
Fabio guarda le cose con meraviglia, è allegro e spensierato, come deve essere un adolescente in una famiglia, gli Schisa, tipicamente napoletana e meravigliosamente italiana che si diverte, ride e gioca sempre.
I genitori (Toni Servillo e Teresa Saponangelo) si amano e ancora sanno ridere insieme ma anche loro hanno i consueti problemi di coppia, il fratello vorrebbe fare l’attore e la sorella non esce mai dal bagno e mai si vedrà, fino alla fine in un’unica apparizione.

Fabio non ha amici, è solitario, vive in simbiosi con la propria famiglia, un corredo di personaggi (neanche a dirlo trattandosi di Sorrentino) felliniani, dalla zia fuori di testa che vorrebbe un figlio ma non lo riesce ad avere, al marito di lei che la picchia perché va in giro a prostituirsi, dalla zia che non si toglie mai la pelliccia neppure in estate e mangia avidamente la mozzarella intera a morsi, per arrivare ad Alfredo, il personaggio interpretato da Renato Carpentieri che esordisce con una battuta, un motto che ripete spesso: Perché siete tutti così deludenti?

Si sa, siamo in un film di Sorrentino e le battute d’effetto non mancano, così come non mancano le scene sensazionali con ampi movimenti di macchina e presenza di animali apparentemente a caso. Ma in questa occasione nessuno dei consueti topos sorrentiniani è risultato particolarmente fastidioso.

Quest’opera è un sogno e lascia una soddisfazione piena, il vero appagamento che si dovrebbe provare per ogni film. Al termine di tutto non ti restano domande o insoluzioni, la catarsi arriva e si è appagati completamente. Personalmente ho pianto, ho riso fino alle lacrime, mi sono stupita e commossa. Si cambia registro da un istante all’altro, proprio come nella vita, mentre una cosa è tragica, è proprio i quel momento che arriva qualcosa di davvero divertente che ci fa ridere fino alle lacrime.
È stata la mano di Dio ci vuole dire che nel percorso della vita non esiste gioia o realizzazione che tengano senza dolore. Lo dice bene Capuano, il regista napoletano, idolo di Fabio e con cui ha un incontro alla fine del film: tu ce l’hai qualcosa da raccontare?
Il dolore fine a se stesso non serve a nulla se non si ha qualcosa da raccontare.

Per questo e per altri cento motivi il film di Paolo Sorrentino è un regalo che il regista ha fatto al pubblico, non perché si tratta di un pezzo della sua vita ma perché è un pezzo della vita di tutti noi.
Resta tanta nostalgia, quella più semplice per i momenti belli del passato, perché siamo stati giovani e felici, spensierati e pieni di speranza, e quella per il film stesso quando volge al termine, perché viene voglia di rivederlo.

Parafrasando una battuta di Fabio: “La vita così com’è non mi piace più e io voglio farne un’altra per questo voglio fare il cinema, voglio raccontare una storia diversa”.

Tralasciando gli scontati complimenti per tutti gli interpreti del film che hanno confermato anche questa volta il loro talento, vorrei chiudere questo pezzo con un plauso all’esordiente Filippo Scotti che è stato così bravo nel suo ruolo che bisognerebbe inventare una parola nuova per descrivere quanto sia azzeccato nel personaggio di Fabio.