Come Hollywood e la Disney tentarono (fallendo) di entrare nel mercato cinese

Mulan

Le recenti ricezioni del mercato cinese a La sirenetta ci riportano indietro al tentativo di Hollywood di imbonirsi la Cina.

C’era un tempo in cui un sodalizio fra Hollywood e Cina (e il suo bacino di utenza) sembrava possibile. Che questo fosse un bene o un male è senz’altro discutibile, e considerando gli eventi che hanno scandito questa amicizia, la risposta è piuttosto evidente. Ma partiamo dall’inizio, dal casus belli: il remake de La sirenetta. Diretto da Rob Marshall e iscritto nella serie di remake live action della Disney, La sirenetta è stata fin dall’inizio al centro di un dibattito tutto social riguardo la sua interprete protagonista, Halle Bailey.

È chiaramente lecito quanto la Disney ci tenga davvero alla “rappresentatività” dei vari gruppi sociali e quanto invece lo faccia per farsi bella agli occhi del mondo (sì, c’è differenza), ma questo non giustifica l’ondata di odio che il film ha ricevuto a priori per via dell’etnia di Bailey. Il mercato cinese è uno di quelli che ha bocciato La sirenetta principalmente per questa ragione, affermando che il film soffre per la “forzata inclusione di minoranze”; eppure neanche tre decenni fa la Disney faceva di tutto per accontentare la Cina – mercato e governo.

La sirenetta (2023)

Mulan: la strategia di Disney

Negli anni Ottanta la Disney non se la passava benissimo economicamente. In cerca di soluzioni, l’azienda si imbatté nell’inesplorato mercato cinese, una potenziale miniera d’oro di pubblico, merchandising e influenza. Nasce così Mulan, film del 1998 diretto da Tony Bancroft e Barry Cook ispirato alla leggenda cinese di Hua Mulan, la ragazza che si arruolò nell’esercito travestita da uomo.

Il destino di Mulan fu fortunato in Occidente, diventando uno dei classici Disney più apprezzati della sua generazione, ma non fu molto apprezzato nel mercato per il quale era stato pensato: la storia fu considerata troppo “occidentalizzata” e non risuonò bene con il pubblico cinese. Ma fra la decisione di Disney di allargarsi in Cina ed il mancato successo di Mulan accorre un evento decisivo, un errore di percorso per tutte le persone coinvolte: Kundun.

Kundun

La Disney, Scorsese e il Partito Comunista Cinese

Nel 1990 la sceneggiatrice Melissa Mathison (E.T. l’extra-terrestre) incontrò il quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, e cominciò con lui una serie di interviste per scrivere una sceneggiatura basata sulla sua giovane vita. Questa sceneggiatura finì nelle mani di Martin Scorsese, chiamato a dirigere il film per la Universal. Ma Kundun non tratteneva nulla dell’invasione e occupazione cinese del Tibet, situazione politica che perdura tutt’ora.

La Universal captò le ripercussioni che il film avrebbe avuto nei confronti della Cina e del suo potenzialmente redditizio mercato, e abbandonò il film nelle mani della Disney. Questa andò avanti e produsse Kundun, arrivando a difenderne la distribuzione anche quando il Partito Comunista Cinese minacciò di chiudere le frontiere a qualsiasi prodotto o iniziativa dell’azienda sul proprio suolo. Purtroppo la Disney finì per cedere, cercando di affossare Kundun in tutti i modi anche nel mercato statunitense, etichettandolo come un “errore stupido” che “offende i nostri amici”. Il destino economico di Kundun fu segnato.

Mulan (2020)

Hollywood non ha mai tagliato i rapporti

L’industria cinematografica statunitense non ha mai davvero smesso di credere nella vicinanza con la Cina e col suo mercato. Il remake live action di Mulan fu filmato in parte nella regione Xinjiang, dove dal 2014 la Cina ha istituito i cosiddetti campi di rieducazione (ufficialmente “Centri di istruzione e formazione professionale”), dei campi di internamento per la popolazione locale degli uiguri. L’operazione cinese gli ha provocato accuse di genocidio culturale ed etnocidio ai danni degli uiguri stessi da parte dell’ONU, ma la Disney ha sempre difeso la propria scelta di girare il remake di Mulan in quelle zone.

Nonostante Hollywood abbia ritrovato la formula vincente (almeno economicamente) coi grandi blockbuster come Top Gun: Maverick o il Marvel Cinematic Universe, la voglia di tenere il Partito Comunista Cinese ed il loro enorme mercato aperto non si è mai estinta.