“Estranei”, il nuovo toccante film di Andrew Haigh dal finale misterioso e travolgente

Adam e Harry in “Estranei”

“Estranei” è il nuovo film del regista britannico Andrew Haigh liberamente ispirato al romanzo omonimo di Taichi Yamada. 

Adam, uno sceneggiatore nella quarantina, vive in solitudine in una palazzina di nuova costruzione a Londra. Mentre cerca di iniziare un progetto di scrittura con protagonisti i suoi genitori, Adam fa la conoscenza di un altro inquilino dell’edificio, il misterioso Harry. Tra i due sembra nascere, dopo l’iniziale titubanza di Adam, una storia prima di passione e poi di amore che permetterà in qualche modo al protagonista di ricongiungersi con una parte nascosta del proprio essere. Ad intrecciarsi a questo filone di racconto, vi è la surreale messa in scena del rapporto tra Adam e i suoi genitori, deceduti per un incidente stradale quando il protagonista aveva solo 12 anni.

A conti fatti, questa potrebbe essere una sinossi abbastanza puntuale per “Estranei”, “All of Us Strangers” in originale, il nuovo film di Andrew Haigh disponibile nelle sale a partire dal 29 febbraio. Tuttavia, queste quattro-cinque righe faticano a racchiudere la complicata quanto unica storia costruita per il grande schermo dal regista britannico che, sebbene si ispiri al romanzo di Yamada, impoverisce il film della cultura orientale per nutrirlo con quella di un’alienante metropoli europea, Londra. Struggente e speranzoso, tragico ma ricco di amore, “Estranei” riesce nella complicata impresa di custodire le contrastanti  sfaccettature delle emozioni umane, mantenendo un’invidiabile coerenza nella struttura della trama. Haigh conduce il solitario Adam attraverso un viaggio onirico dalle tinte melodrammatiche mentre queste si “sporcano” intelligentemente con tratti tipici del genere thriller: pare, così descritto, quasi un mix improbabile ma il risultato non solo convince, ci lascia senza parole.

Adam, interpretato da un immenso Andrew Scott, non ha comprensibilmente mai superato la morte prematura dei suoi genitori, avvenuta in maniera brutale senza alcuna possibilità di dir loro addio e di confessare la sua omosessualità. Questa incompiutezza nel rapporto genitoriale si traduce nell’impossibilità di scrivere su di loro, a causa del peso che la sofferenza della loro perdita comporta. Adam si trova, quindi, inconsapevolmente catapultato in una realtà “altra” che non corrisponde al “cosa sarebbe successo se”, ma è la materializzazione dei suoi mostri interiori, dei dubbi della sua mente e delle crepe del suo animo. Perché la consapevolezza di sé passa attraverso il desiderio di riafferrare il proprio passato. Adam, uomo solo ed abitudinario, ha smesso di imparare ad analizzarsi, e ha cementato il dolore e l’inquietudine con il suo lavoro, adattandosi ad una “comfort zone” orrorifica.

Quando torna nella sua casa d’infanzia e ritrova sua madre e suo padre, proprio come li aveva lasciati, ha l’opportunità di farsi conoscere, di spiegar loro la sua vita, quella degli omosessuali del giorno d’oggi, diversa, anche se non troppo, da quella degli anni ’90. Un’occasione che Adam non vuole farsi sfuggire perché gli consente di sentirsi, forse per la prima volta, protetto, amato e riconosciuto mentre il confine tra la sua realtà e la sua immaginazione si fa sempre più labile e inconsistente. D’altronde, perché affidarsi proprio  alla realtà per raccontare delle verità?

L’io e l’interiorità interrotta di Adam vengono fuori soprattutto dalle interazioni tra lui e la sua famiglia, come se, anche a distanza di anni dalla scomparsa, fosse ancora presente quell’incessante necessità di salutarsi definitivamente per poter “crescere” e farsi adulti. Poco importa se il tanto agognato addio avvenga in questo mondo, dove tutti noi respiriamo, amiamo, lavoriamo o soffriamo o in un altro universo, all’interno del quale le regole spazio-tempo e vita-morte decadono inesorabili.

Adam ed Harry: una storia d’amore al di fuori del tempo

Andrew Haigh grazie ad “Estranei” si riconferma un cineasta tra i più interessanti del cinema contemporaneo. Attraverso questo film, però, supera la cinematografia precedente poiché la narrazione che fa dei gay, sempre al centro dei suoi lavori, approda alla dimensione sognante rimanendo, tuttavia, profondamente attuale nelle tematiche.

La solitudine di Adam, del suo amante Harry è sì quella di tutti noi esseri umani, costretti ad un’esistenza a metà, paralizzati dalle creature terrificanti dell’esterno, ma appartiene soprattutto agli omosessuali. Convinti che il mondo attorno ora li accetti, si ritrovano in una spirale di sofferenza quando prendono coscienza che, alla fine dei conti, la realtà non è poi così diversa dal passato, e che la loro sarà una vita segnata da ostacoli, incombenze, delusioni ed incertezze. Seppur riconoscendo i grandi passi in avanti fatti dalla società, continuano a lottare per autoaffermarsi finendo per soffocare nel loro asfissiante dolore, rintanandosi negli angusti angoli delle loro case fredde, come è il caso di Adam ed Harry

Una nota di positività, però, esiste e Haigh la illustra tramite “All of us Stranges” in un modo alquanto “letterale”. Anche nella tragicità dell’epilogo del rapporto tra Harry e Adam, la cui natura viene rivelata in un finale a dir poco travolgente, risiede un barlume di speranza. Da estranei, a conoscenti ad amanti: i due protagonisti trovano una loro “forma” di esistenza, forse per alcuni drammatica ma per altri estremamente “brillante”. Il merito è, come suggerisce lo stesso titolo della canzone “The power of love”,  fil rouge di tutto questo complicato lungometraggio, del “Potere dell’amore” capace di muovere le fila del percorso di Adam e di Harry quando in un nuovo “disegno” esistenziale, supereranno abbracciati la loro ancestrale solitudine.

I loro cuori aggrovigliati riusciranno ad unirsi, confondersi e a creare una luce, quasi accecante, che esiste al di fuori di ogni connotazione temporale ma si realizza dove la vita sfocia nella morte e la morte si affaccia alla vita. Amore e perdita, accettazione e lutto: cosa succede veramente nel finale di “Estranei” e dopo quel plot twist che svelerà una verità scomoda?

All of Us Strangers

“All of us strangers” potrebbe essere il film dell’anno

Interrogarsi sul finale del film di Haigh, però, non porterà lo spettatore alla risoluzione di tutti i suoi enigmi. In che modo Adam ha potuto parlare con i suoi genitori deceduti anni prima? Perché Harry (un magnifico Paul Mescal) sembra apparire e scomparire come fosse qualcos’altro oltre che l’interesse amoroso di Adam? Domande che solo in parte trovano risposta nel corso della pellicola, poiché non è nella chiarezza e nella consequenzialità che risiede l’obiettivo del film.

“All of Us Strangers” è un’opera di ineguagliabile bellezza che si palesa sia nei contrasti cromatici della fotografia, ora calda ora inquietantemente fredda, sia nella narrazione di una storia di famiglia e di relazioni umane. Gli spettatori, durante la visione, si immergeranno in un’esperienza sensoriale difficilmente classificabile e che demotiva ogni tipo di capacità critica. Mettere nero su bianco la nuova fatica di Andrew Haigh è un’impresa ardua in virtù della grande mole di emozione che questo film smuove, tanto da considerarlo senza dubbio uno dei lavori più belli e significativi dell’anno.

A rendere “Estranei” un’opera che durerà alle “intemperie” del tempo, di certo, c’è la colonna sonora scelta per alcune sequenze del film e che include brani quali “Always on my mind” dei Pet Shop Boys, “Death of a party” dei Blur e la già citata “Power of Love” dei Frankies goes to Hollywood. Menzione speciale anche al soundtrack composto appositamente per il lungometraggio da Emilie Levienasie-Farrouch sporcata con sonorità ansiolitiche ed insieme oniriche.

Infine, una riflessione la merita anche l’ambientazione mostrata nella sua più dolorosa verità: il Palazzo, alto e periferico in cui vivono Adam ed Harry, altro non è che la concretizzazione del loro IO: un edificio asettico e alienante che li costringe a guardare una città “viva” e che va vanti mentre nel microcosmo delle nuove, capitalistiche e cosmopolite costruzioni, tutto sembra essersi fermato ad uno stato di apatia. “Estranei”, anche con una piccola distribuzione e sebbene sia quanto più lontano da quello che un blockbuster possa rappresentare, è destinato a cambiare le convinzioni e la vita di molti.

Il cinema ha il privilegio, tramite i suoi strumenti, di rievocare “il sublime”: nel film del bravissimo Andrew Haigh, la Settima Arte, in una realtà povera di idee e di ideologie come quella contemporanea, trova finalmente la sua forma più pura e soprattutto il senso stesso della sua esistenza.