Nomadland, il toccante film ispirato ai nuovi nomadi d’America. Recensione

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Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

Triplo premio Oscar per il toccante film Nomadland della regista cinese Chloé Zhao, ispirato ai “nuovi nomadi” d’America colpiti dalla recessione, la forza del film sta proprio nell’evitare il conflitto, la rabbia, la denuncia, a favore dell’umanità. Nomadland  si può vedere su Disney+.

Quando ha ritirato il suo premio Oscar come migliore regia, Chloé Zhao ha detto, “Ho sempre trovato bontà nelle persone che ho incontrato, ovunque sia andata nel mondo”. Questo sentimento è forte ed evidente nel film, la sua è una delicata e melodica poesia sulle sfumature della vita occidentale e della bontà umana che percorre le vite di persone ai margini della società. Nomadland parla di un nuovo fenomeno, quello della generazione americana dei 60 e 70enni il cui futuro economico è stato distrutto dal crollo del 2008. Sono dei borghesi dai capelli grigi ridotti in povertà, non possono permettersi di andare in pensione ma, al contempo, non riescono a trovare un lavoro adeguato per potersi permettere una casa. Così sono diventati nomadi, una nuova tribù americana che vaga per il paese, vivendo in van o camper, cercano lavori stagionali in bar, ristoranti e, in questo film, anche in un gigantesco magazzino Amazon in Nevada, come a voler prendere il posto del lavoro agricolo che cercavano i lavoratori itineranti nelle storie del passato come The Grapes of Wrath (Furore) di John Steinbeck. Alla regista è stato persino permesso di filmare all’interno di una delle inquietanti cattedrali industriali di Amazon.

Frances McDormand è estremamente convincente nel ruolo di Fern in cui si immerge completamente, guadagnandosi il suo terzo Oscar come miglior attrice. Vedova da poco ed ex insegnate supplente si trova a corto di soldi, così decide di lasciare la sua città natale Empire, in Nevada, un paesino cancellato dalle mappe a causa della chiusura della fabbrica che la teneva in piedi, per cercare lavori stagionali. Mette tutto quello che le resta (di importante) della sua vita in un Van e sia avvia verso un futuro incerto, cosa che accetta con assoluta mancanza di autocommiserazione. Sente che non fa per lei rimanere ferma in un angusto vialetto, lo spirito pionieristico la porta a esplorare i vasti orizzonti dell’America, il direttore della fotografia, Joshua James Richards, cattura l’aspra bellezza degli stati del Midwest in immagini che sembrano poesia, a volte il film sembra un tour in un altro pianeta deserto, specialmente quando si dirige verso il parco nazionale delle Badlands nel Sud Dakota.

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All’inizio si ha la percezione che la vita sulla strada possa essere pericolosa e ostile, anche il meteo estremamente freddo non è dalla sua parte ma è soprattutto, la glaciale realtà economiche a far venire i brividi. Tuttavia Fern scopre gradualmente il calore della comunità itinerante americana, aiutata da figure ispiratrici come il carismatico Bob (Bob Wells), il quale tiene dei seminari nel deserto per insegnare nuove e preziose competenze di vita a tutti colori che si trovano non “senzatetto” ma semplicemente “senza casa”. Wells interpreta se stesso e, verso la fine del film, ci regala un discorso devastante e commovente.

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Come per le protagoniste Linda May e Charlene Swankie, Wells è davvero un vandweller americano che ha abbracciato uno stile di vita minimalista e nomade, così la Zhao mette insieme attori di professione, come la McDormand e David Strathairn, a non professionisti del cinema ma veri professionisti di questo stile di vita, conferendo un’aria di autenticità documentaristica agli eventi che scorrono sulla pellicola.

Quello che davvero colpisce di Nomadland è il modo quasi casuale in cui vengono raccontate le storie, evitando clamorose scene drammatiche o slanci narrativi eccessivi per rendere allo spettatore qualcosa di più umano. Questo è costato alla Zhao qualche critica rispetto al fatto di non aver portato alla luce la situazione drammatica che si cela nei magazzini Amazon, dove Fern e i suoi amici trovano lavoro stagionale, una critica inasprita dalle recenti battaglie di Amazon contro i sindacati. Ma non è questo il punto in Nomadland, che non vuole per nessuna ragione nascondere le luci e le ombre dell’America, al contrario, il messaggio che arriva è molto forte senza essere gridato. Così affrontiamo dolorosamente le vite di uomini e donne che invecchiano facendo del loro meglio per superare le difficoltà che la vita non gli risparmia, senza celare situazioni e circostanze spesso disperate e spietate. Eppure, nonostante le difficoltà che si vedono costretti ad affrontare, la potenza della comunità e della condivisione, volta all’autodeterminazione per la propria autonomia, sono messaggi che arrivano potente come un pugno nello stomaco di chi osserva e non può far alto che empatizzare con i personaggi per la loro umanità. Non c’è mai una parola ostile, un gesto di rabbia, una lamentela o, tanto meno, un voler fare le vittime di una società che ha tolto tutto senza restituire nulla. Questo film è un inno al saper fare del proprio meglio anche quando non si ha più niente di materiale e non si vedono prospettive per il futuro, insegna a saper chiedere aiuto e, al contempo, saperlo dare. Le urla e gli isterismi vengono lasciati a chi ha tante parole ma pochi fatti, Nomadland mostra che, insieme alle difficoltà e al dolore, c’è anche serenità in questo modo di vivere, persino una sorta di euforia, senza il peso di una casa e beni materiali, a cui la nostra società è fortemente ancorata, dimostrando che si può vivere di una meravigliosa libertà.