Encanto, la favola Disney priva di magia e ricca di stereotip. Recensione

Encanto è un musical che vanta un vivace cast vocale e canzoni originali firmate da  Lin-Manuel Miranda, è stato promosso come il 60° film “classico” dei Walt Disney Animation Studios. Ma per quanto ben intenzionato, potrebbe quasi rappresentare una crisi creativa per la Disney – sembra un altro passo verso il cul-de-sac dell’intrattenimento mediocre e generato da algoritmi, ancora incollato a stereotipi che intaccano la nostra società. Ci sono alcuni bei momenti e dolci melodie, ma Encanto sembra che aspiri esattamente a quella sorta di blanda perfezione senza ostacoli, esattamente il concetto stesso che il film cerca di non dare, con una trama artificiosa atta solo a trovare una morale preconfezionata da consegnare al pubblico. Ma la morale che fa passare non è quella giusta.

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La nostra eroina è Mirabel Madrigal è un’adolescente intelligente, introspettiva e occhialuta che vive con la sua famiglia allargata in una casa magica (con una mente propria), in un villaggio idilliaco in una valle magicamente creata da qualche parte in Colombia.
La nonna di Mirabel è la formidabile matriarca Abuela, la donna ha perso il marito molti anni fa e per questo fatto ha ricevuto il miracolo della casa magica, apparentemente sorgendo a seguito della sua grande tristezza. Tutti i suoi figli e nipoti risultano avere un potere magico, di cui Abuela è intensamente orgogliosa. La mamma di Mirabel, Julieta può guarire le persone con la sua cucina, (a questo punto se puoi guarire tutto butta un po’ più di farina e correggi la miopia di tua figlia Mirabel). La sorella di Mirabel, Isabella, è una perfetta principessa in stile Instagram che può far sbocciare i fiori con la sua pura bellezza. L’altra sorella Luisa ha una super forza e può sollevare edifici. Sua zia Pepa può controllare il tempo e la cugina Dolores ha il super udito. Questa è una famiglia piuttosto eteronorma, tranne per il cugino Camilo può mutare forma perché non sa ancora chi è.
Ma aspettate. C’è una persona che non ha un dono ed è proprio la povera Mirabel. Tuttavia, quando si verifica un’improvvisa e terribile crisi e tutti i membri della famiglia Madrigal sembrano perdere i loro poteri, è Mirabel che deve farsi avanti e salvare tutti e tutto – rintracciando lo zio scomparso della famiglia, Bruno, il cui dono della profezia gli ha permesso di prevedere questa terribile eventualità e il ruolo di Mirabel nella lotta. Forse questa famiglia di fanatici esaltati ha bisogno di vedere come la loro superiorità soprannaturale sia un nevrotico sintomo collettivo di infelicità, forse hanno bisogno che l’umile Mirabel li porti a una nuova illuminazione.

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Quindi in Encanto questi doni sono una cosa buona o cattiva? Non sembravano una cosa così cattiva nei due atti iniziali del film, questi doni sembravano far parte del benessere di tutti, abilità usate con leggerezza e modestia, ma dato che il preservare questi poteri è la motivazione della trama, è un’inversione scomoda per questi poteri essere rappresentati come qualcosa da contrastare o superare – un paradosso che il film non riconosce o risolve – soprattutto perché abbiamo un accenno abbastanza ampio al fatto che potrebbero in ogni caso essere magicamente recuperati. Insomma la storia sembra di più la rivincita dello sfigato, un tema forte negli anni ’90, ma che adesso ha un forte retrogusto classista. La giovane senza abilità viene considerata inferiore, e un po’ di troppo, nella famiglia, la sua “normalità” è un problema, deve fare il doppio della fatica dei suoi privilegiati parenti per trovare il suo posto, che in realtà dovrebbe appartenerle per nascita. Ci ritroviamo ancora una volta nel 2021 (quasi 2022) con un film il cui messaggio è che per valere qualcosa bisogna nascere “speciali” (un sinonimo di privilegiati), oppure il mondo ti tirerà scarpate nei denti finché la tua normalità (onesta e sincera) non si ritroverà a dover fare i conti con quella perfezione a cui bisogna aspirare per avere un posto nel mondo. Tirando le somme Encanto è un film insoddisfacente che ancora non si riesce a scollare di dosso gli stereotipi di una società che chiede alle persone di dover dimostrare sempre qualcosa di più nel normale far bene e che costantemente ci dici che se non sei speciale non vali nulla.