“Questioni di un certo genere”. Recensione del secondo numero di Cose spiegate bene

Cose spiegate bene” è la rivista cartacea nata grazie alla redazione del Post in collaborazione con la casa editrice Iperborea, dedicata ad approfondimenti socio-culturali monotematici con uscita semestrale.

Il progetto, che aveva esordito nel giugno 2021 con “A proposito di libri” incentrato sull’industria editoriale, attualmente è  giunto al suo terzo numero, Le droghe, in sostanza”, uscito a maggio di quest’anno.

In questa sede discuteremo del secondo numero della rivista, “Questioni di un certo genere“, uscito nel novembre 2021 e concepito attorno al recente dibattito sulle identità sessuali, sui diritti ad essi legati e sulle parole che ne sono diventate il manifesto.

Le identità sessuali, i diritti, le parole da usare: una guida per saperne di più

Come recita il sottotitolo di “Questioni di un certo genere”, Le identità sessuali, i diritti, le parole da usare: una guida per saperne di più, in questo secondo numero di Cose spiegate bene il lettore e la lettrice andranno incontro a un argomento che ha sempre diviso le persone, dentro e fuori la politica, generando talvolta profonde crepe sociali. La delicatezza delle tematiche qui trattate non ha impedito alla laboriosa redazione del Post di inserirsi nei difficili antri della politica quando si è scelto di dedicare un’intera edizione della rivista alle identità di genere, ai diritti delle persone omosessuali e non, passando per le transizioni di genere e la concezione di Dio come maschio.

Con interventi di studiosi e politici del calibro di Vera Gheno e Gianmarco Negri, “Questioni di un certo genere” è costellato di micro approfondimenti fatti su dati statistici e dati non numerici ma alquanto impressionanti. Sapevate, ad esempio, che i Paesi Bassi sono stati il primo paese a celebrare un matrimonio omosessuale? Oppure che, nel 1919, fu eseguito il primo intervento di vaginoplastica della storia? O ancora, siete a conoscenza della differenza di significato tra la parola “transgender” e la parola “transessuale”?

I limiti del vivere in una società nomo e fallocentrica

In Cose spiegate bene, ogni termine ha il suo peso. Se si considera che in pochi assegnano a un vocabolo un peso extra linguistico, per esempio psicologico-sociale, ecco che “Questioni di un certo genere” si presenta come una bussola più che necessaria a farci comprendere l’importanza di un linguaggio che non discrimini persone con ragioni di vita diverse dalla nostra. Lo conferma la sociolinguista Vera Gheno, quando ci ricorda che “chi viene nominato ha più concretezza: chi non ha un nome, invece è invisibile ai nostri occhi“. Tra le critiche ricevute sui suoi social, infatti, alla linguista sono giunte lamentele nei confronti di un’ipertassonomizzazione sulla scia della neolingua orwelliana.

Vera Gheno non è l’unica a lamentare i limiti di una società dalle ristrette vedute e in cui si fa fatica a ragionare in termini di “diversità reciproca“. Le si affianca, in un toccante monologo autobiografico, il sindaco di Tromello Gianmarco Negri, primo cittadino di un paesino poco distante da Pavia nonché primo uomo transgender a ricoprire tale carica nella storia del Belpaese.

Nel suo caso, tuttavia, Negri critica l’aspetto fallocentrico dell’essere maschio, sorto spesso nei processi ai tribunali che egli si è trovato ad affrontare con i suoi clienti, rivendicato da molti giudici come elemento necessario al compimento della transizione di genere. “Siamo ancora agganciati al pensiero che un uomo – dice il sindaco – sia tale solo in presenza di un fallo e, analogamente, che possa essere considerata donna soltanto una persona con una vagina.

Manca una cultura delle differenze all’interno della quale coltivare la sapienza relativa alle mille sfaccettature della persona e agli infiniti elementi che la caratterizzano“.

Perché leggere “Questioni di un certo genere”

Siamo da sempre del parere che ogni prodotto firmato Il Post porti con sé un lavoro metodico, appassionato ma soprattutto alquanto valido, basato su una strenua ricerca delle fonti e di attenzione alle varie sensibilità. Persino quando si tratta di riscrivere la storia del colore rosa come simbolo della femminilità, Il Post ci lascia senza parole. Consigliamo questo numero in particolare per uscire dalla retorica del “lo sapevo già”, e convincersi del contrario: non c’è mai fine alla scoperta.

In questo frangente, è di nuovo d’aiuto un fittissimo glossario inserito all’inizio della rivista e indicante il significato di tutti quei termini che abbiamo sempre inconsciamente creduto di conoscere ma che sono, tuttavia, all’origini di grandi fraintendimenti.

Ancora più opportuna ci è sembrata, inoltre, la rappresentazione di tutte le bandiere arcobaleno che hanno fatto del Pride un evento dall’eco mondiale, inserite nell’interno della quarta di copertina.

Infine, per concludere con le parole di Luca Sofri, il quale firma l’editoriale di ogni nuova uscita, “Questioni di un certo genere” ribadisce l’importanza del “rispetto e la comprensione per quello che le persone vogliono essere, per quello che vogliamo essere”.