Venezia 79: TÁR di Todd Field. Dietro un ego smisurato una grande solitudine. Recensione

Cate Blanchett torna alla Mostra del Cinema di Venezia con il film in concorso TÁR di Todd Field, la storia di una direttrice d’orchestra e compositrice tanto ossessionata dalla sua musica da perdere completamente il contatto con la realtà.  

Si tratta del nuovo film di Todd Field dopo ben 15 anni di assenza e ancora una volta lavora con Cate Blanchett decidendo di seguire la vita e il lavoro di Lydia Tár, rinomata direttrice d’orchestra e compositrice, tra i nomi più importanti del mondo internazionale della musica classica.

Si tratta di una parabola discendente, quella della direttrice d’orchestra, che si apre con le tipiche giornate di una donna in carriera tosta e determinata, arrivata al successo grazie al suo talento e presa da mille impegni ma che, nonostante tutto riesce anche a dedicarsi a una famiglia.

La vita di Lydia Tár sembra perfetta, ha tutto ciò che una donna desidera nella propria vita ma soprattutto sembra riuscire a conciliare lavoro e vita privata e tutto questo anche perché sua moglie è una delle violiniste dell’orchestra. Man mano che andiamo avanti però notiamo delle ombre nella vita piena di luce e musica che caratterizza il suo mondo.

Lidya è quella che potremmo definire una stacanovista con un ego smisurato, talmente concentrata sul lavoro che poi è la sua più grande passione da non pensare ad altro che alla musica e questa condizione la porta inevitabilmente a scollarsi dalla realtà, tanto da non accorgersi di ciò che le succede intorno.

Al momento in cui la storia di Lidya comincia lei sta vivendo un momento propizio per la carriera, l’apice in un certo senso, il classico punto di una carriera nel quale se si migliorasse ancora si rasenterebbe la perfezione.

Di solito sono proprio questi giri di boa che ci riserva la vita quelli durante i quali una minima mossa sbagliata potrebbe portarci alla rovina e, come ho detto, questa di Tár è una parabola discendente.

Lidya è alla direzione di una grande orchestra tedesca e sta per uscire il suo libro autobiografico, con l’orchestra fanno le prove per eseguire la quinta sinfonia di Mahler e nel frattempo si divide tra una lezione universitaria e un’intervista.

La sua vita privata però viene scossa da una serie di piccoli eventi davvero complessi da gestire: l’arrivo in orchestra della violoncellista prodigio Olga che fa vacillare il solido rapporto con la compagna Sharon Goodnow (Nina Hoss), con la quale hanno appena adottato Petra, e il rapporto apparentemente solo professionale di Lidya con la sua assistente Francesca (Noémie Merlan) costituiscono un castello di carte pronto a crollare nel momento in cui una musicista, Krista, sua ex-allieva e intima amica si suicida e i giornali accusano proprio Lidya di aver esercitato delle pressioni psicologiche su di lei.

Questo elemento della storia mi ha riportata a Whiplash film del 2014 diretto da Damien Chazelle in cui il perfido insegnante di musica Terence Fletcher, interpretato da J. K. Simmons porta allo stremo i suoi allievi tanto che la sua figura appare sinistra come quella di un diavolo. Nel caso di Tár possiamo vedere per certi versi un’altra sfumatura di quel tipo di personalità e allo stesso tempo scorgerne tutte le fragilità.

Lidya nel dirigere un’orchestra è di fatto a capo di un piccolo stato o comunque di un microcosmo con precise gerarchie e lei di fatto ha pieni poteri, ma solo se riesce a mantenere gli occhi puntati su di lei. Per mantenere un tale livello di attenzione e un tale rispetto ci vuole però tanto equilibrio che purtroppo crolla non appena una carta del castello viene meno.

Il film è stato scritto appositamente per Cate Blanchett che porta avanti la storia da sola e dovendo affrontare diverse sfumature di una sola personalità e, in alcuni casi da un momento all’altro e nella stessa scena anche stati d’animo differenti e opposti tra loro. Insomma se per caso Blachett avesse rifiutato questo film non avrebbe avuto ragione d’essere.

La diva è accompagnata in questa interpretazione da attori altrettanto bravi, insomma il cast è sicuramente di livello alto ma per sottolineare l’ego del personaggio la regia è tutta su Cate Blanchett per carpirne ogni dettaglio, ogni sfumatura del viso o piega del sopracciglio e tutto ciò per mostrarci una personalità complessa, egocentrica e maniacale ai limiti dell’ossessivo eppure tanto sola e tanto fragile.

Come un assolo di strumento musicale il percorso del personaggio inizia circondato da mille attenzioni e mille presenze per poi staccarsi dalla molteplicità in cui abita per ritrovarsi sola.