Kubrick non passa mai di moda, anche Gucci porta il regista in passerella

La nuova campagna “Exquisite” del direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, ha riportato sulla scena e in grande stile i capolavori di Stanley Kubrick, in un vero e proprio omaggio al regista, che agli occhi degli amanti del cinema non può che entusiasmare.

Kubrick

Anche chi ammette di non avere una passione per la moda viene coinvolto nella visione di queste immagini in cui le scene dei film più noti di Kubrick sono popolate dal marchio Gucci.

“Nelle sequenze selezionate tutto diventa immagine iconica, simbolicamente raffinata ma capace di depositarsi all’interno di una cultura decisamente popolare. In fondo ho scelto Kubrick anche per questo. Quello che ha prodotto fa parte dell’immaginario collettivo. Il suo essere un rabdomante della visione ha reso le sue opere riconoscibili al pari della Cappella Sistina, della Vergine delle Rocce o dei Simpson”

Così, con queste parole, Michele realizza a pieno “un atto d’amore” nei confronti di Kubrick, fonte di ispirazione del progetto.

La campagna pubblicitaria, allora, può essere colta come un invito a rispolverare i film del regista più iconico di tutti i tempi. Chi meglio di Kubrick incarna, infatti, l’accezione moderna di “autore” nel mondo del cinema. Il segno del suo lavoro si percepisce in ogni film, la sua mano è palpabile in ogni ripresa. E non c’è da meravigliarsi per il grande contributo che il regista ha dato alla settima arte, al punto da ispirare diversi suoi colleghi, i quali hanno ammesso di aver approcciato alla macchina da presa dopo aver guardato Kubrick.

Tra questi, veri e propri big come Christopher Nolan che nel 2018 aveva riportato a Cannes la versione restaurata del capolavoro “2001: Odissea nello spazio”, il film che “50 anni fa cambiò la storia del cinema per sempre”, ammettendo:

“La prima volta che ho visto il film di Stanley Kubrick avevo sette anni […] Ricordo che lo schermo si è aperto e ho iniziato un viaggio cinematografico che mi ha portato via! E, Nolan continua, appunto: “è stato Kubrick a dire che il modo migliore per imparare a fare un film è girare un film tutto tuo”.

Kubrick

Kubrick, regista, produttore, sceneggiatore, ha iniziato la sua carriera come fotografo e la sua abilità con la macchina da presa lo lascia ben intuire. Tutto il cinema di Kubrick può essere letto come la messa in scena di un conflitto tra la parola e l’immagine, in cui, indubbiamente, a vincere è la seconda.

Attraverso le immagini riesce a esprimere il concetto, le sensazioni che lui stesso vuole trasmettere e che rende lo spettatore un Alex DeLarge, il protagonista di Arancia Meccanica, mentre le pinze che gli aprono gli occhi sono le stesse mani dell’autore.

Così ci immergiamo con anima e corpo dentro il suo mondo, dentro la visione tutta sua nel concepire il tempo attraverso lo spazio. Il tempo è una realtà che non si può controllare, così Kubrick controlla lo spazio. Nei suoi film siamo posti davanti a una dimensione temporale quasi sempre onirica che è resa attraverso una dimensione spaziale che si ripete, che imprigiona come in un labirinto, elemento chiave del cinema kubrickiano, pensato in modo tale che chi ci entra dentro perda l’orientamento.

Cercare la via d’uscita rende simbolicamente la perdita della razionalità, lo smarrimento. Ed è ciò che avviene in “Shining”, nel luogo non-luogo dell’hotel o in “Eyes Wide Shut”, in cui l’uomo si trova a fare i conti con l’impossibilità di relazionarsi al proprio tempo.

Shining

Ma è in 2001: Odissea nello spazio che assistiamo a una vera demolizione della sfera del tempo: i personaggi si muovono nello spazio senza speranza di gestirlo, ed emblematicamente il comandante, protagonista del film, David Bowman si trova a esistere contemporaneamente a diverse età, incontrando con lo sguardo la propria immagine ogni volta poco prima della scomparsa di quest’ultima. Dà l’idea di una sorta di circolarità del tempo che l’uomo non riuscirà mai, appunto, a controllare.

Altro punto focale del cinema di Stanley Kubrick è la violenza come parte della natura umana, che si collega a ulteriori temi fissi (che sono riscontrabili in ogni suo film): il sesso e l’infanzia. Iconico è il film “Arancia Meccanica”, dove tutto è enfatizzato agli estremi causando nello spettatore esattamente ciò che le pellicole mostrate al protagonista con la forza, causavano in lui. In un gioco di opposizioni per cui alle scene violente si sovrappone la musica classica amata dal protagonista, viene fuori la denuncia a una società che, piuttosto che educare l’individuo, scatena le sue pulsioni più oscure.

Arancia Meccanica

Da ciò emerge chiaramente l’idea di Kubrick sulla violenza insita e radicata nell’uomo, o che non può ignorare i suoi istinti. L’unica soluzione parrebbe dirigerne gli impulsi in attività artistiche e costruttive e renderli fonte di creatività:

“Non ci sono prove che la violenza nei film o alla televisione provochi violenza sociale. Cercare di addossare ogni responsabilità all’arte come causa di vita mi sembra uno sviare il problema ignorandone le cause principali. L’arte rimodella la vita ma non la crea, non la produce”.

Arancia Meccanica

Così, Kubrick materializza il suo pensiero e ce lo fa provare, vivere, in un’esperienza cinematografica senza eguali, ed è per questo che passeranno gli anni, ma il suo contributo resterà indelebile.

Ergo, non si può che concludere circolarmente con le parole di Nolan, “Quello che Kubrick ha fatto […] è stato riconoscere che non c’erano regole narrative prestabilite nel modo di fare cinema. Non ci sono limiti. Ha reinventato totalmente il cinema, dimostrando che i film possono fare qualsiasi cosa e il nostro compito di registi è superare i nostri limiti”.